Effetti delle radiazioni nelle cellule
Le radiazioni ionizzanti (quelle tanto energetiche da poter riuscire a spezzare legami chimici) come quelle dovute ad un'esplosione atomica a, più semplicemente, ad una lastra di raggi X, se in grosse quantità, possono provocare seri danni alle cellule e, successivamente, anche all'intero organismo. Le azioni che le radiazioni possono avere sulla cellula possono essere di due tipi: dirette ed indirette.
L'azione diretta si ha quando la radiazione che attraversa la cellula vivente ionizza ed eccita gli atomi e le molecole della struttura cellulare dando luogo a frammenti dotati di cariche elettriche chimicamente instabili. L'azione indiretta si ha quando i radicali e gli ioni interagiscono con la cellula stessa dando luogo ad alterazioni. Il danno può essere sia di natura diretta che indiretta. Le conseguenze più sfavorevoli si verificano in genere nel nucleo, sebbene anche il danno al citoplasma può condurre a notevoli alterazioni della cellula. Le cellule, all'infuori di alcune eccezioni, sono molto piccole hanno un diametro dell'ordine di 10-100 micron; esse differiscono l'una dall'altra sia per forma che composizione e, quindi, anche per funzione, pertanto si presuppone che il loro comportamento rispetto alle radiazioni sia diverso da un tipo all'altro: si parla, perciò, di radiosensibilità specifica. La radiosensibilità è direttamente proporzionale alla capacità di riprodursi e varia in proporzione inversa con il grado di differenziazione. Le cellule che si riproducono più rapidamente sono anche le più sensibili, inoltre quelle in via di formazione possono essere danneggiate più facilmente di quelle già formate. Gli effetti biologici da radiazioni ionizzanti possono raggrupparsi in tre classi di differenti caratteristiche cliniche e di diverso significato sanitario generale :
Effetti immediati delle radiazioni
Gli effetti immediati o precoci sono tipici di condizioni di irradiazione forte e di breve durata, che si ritrovano, per esempio, in incidenti o infortuni. Essi si manifestano, in due o tre settimane dall'irradiazione, solo se è superato un valore-soglia di dose e mostrano un aggravio di sintomi con:
- Il crescere della dose stessa;
- Il tipo di radiazione impiegata (fattore di qualità);
- Il rateo (intensità) dell'irradiazione (dose/tempo);
- L'estensione spaziale dell'irradiazione (irradiazione d'organo o di apparato, di parte o dell'intero organismo).
Vediamo gli effetti immediati clinicamente rilevabili per singoli organi ed apparati corporei:
Effetti immediati delle radiazioni sul viso.
a) Cute. Se la cute è colpita dalle radiazioni e riceve una dose elevata si arrossa (eritema). Nelle comuni condizioni della pratica radiologica medica si ha un eritema di intensità media a seguito di esposizione a 350 - 400 roentgen di raggi X (qualità 60 - 110 KV, filtrati con 1 - 3 mm di Al) somministrati in una volta sola su un campo di 50 cm2. Attraverso la pratica e l'esperienza della terapia radiologica si possono distinguere vari tipi di dermatite acuta da radiazione ossia:
§ Eritema semplice;
§ Eritema bolloso;
§ Eritema ulceroso;
§ Dermatite cronica (radiodermite cronica).
b) Capelli, barba, peli. Con dosi relativamente basse si ha la caduta temporanea di queste formazione cutanee. I peli cutanei cadono dopo 15 - 20 giorni dall'irradiazione .
La caduta della barba è causata da una dose molto elevata di radiazioni
c) Tessuti emopoietici. I tessuti emopoietici sono costituiti dai tessuti linfatici (che producono linfociti) e dal midollo osseo rosso (che produce leucociti, eritrociti e piastrine). Linfociti, granulociti e monociti costituiscono i leucociti o globuli bianchi; gli eritrociti sono detti anche globuli rossi. Globuli rossi, globuli bianchi e piastrine sono gli "elementi figurati" del sangue, sospesi nel "plasma"; essi si rinnovano di continuo, perché di continuo una loro frazione viene distrutta e rimpiazzata da nuovi arrivi dei tessuti emopoietici. Il tempo di rinnovo è diverso per gli elementi figurati. Sia i tessuti linfatici che il midollo osseo rosso sono presenti in varie parti del corpo. Se il corpo intero viene irradiato con radiazioni penetranti compare la riduzione dei globuli bianchi (leucopenia) e dei globuli rossi (anemia) circolanti nel sangue. I tessuti linfatici sono tra i più sensibili alle radiazioni, anche dopo modeste dosi al corpo intero, (dell'ordine di qualche decimo di rad) il numero di linfociti si riduce temporaneamente.
Il midollo osseo rosso è anch'esso molto sensibile alle radiazioni ma un po’ meno dei tessuti linfatici; il numero dei granulociti diminuisce dopo irradiazioni del corpo intero (dell'ordine di diversi decimi di rad) ma in un tempo successivo a quello della riduzione dei linfociti, il numero delle piastrine e degli eritrociti pure diminuisce ma ancor più tardi e per dosi maggiori.
d) Sistema gastro-intestinale. Le mucose buccali e faringee sono molto sensibili alle alte dosi di radiazioni e presentano fenomeno di arrossamento, gonfiore, ulcerazione che possono essere considerati come le manifestazioni cutanee sopra descritte. Delle mucose gastro-intestinali le più sensibili sono quelle dell'intestino tenue. Per dosi elevate e concentrate nel tempo (dell'ordine di molti Gy, dove Gy sta per Gray; un Gy è uguale alla quantità di radiazione che libera energia di un joule per chilogrammo di materia) su campi addominali, gli epiteli intestinali perdono le loro proprietà regolatrici dell'assorbimento e dell'equilibrio idrico-salino dell'organismo, e l'individuo esposto è colpito da shock. Inoltre, come conseguenza della possibile caduta degli epiteli intestinali viene meno la barriera contro i batteri, questi penetrano nel sangue circolante e provocano setticemia.
Effetti immediati delle radiazioni. La foto si riferisce ad alcune vittime delle radiazioni dovute alla bomba atomica di Nagasaki, sganciata il 9 agosto 1945.
e) Testicoli e ovaie. I tessuti germinali sono altamente sensibili. Già con poche radiazioni ricevute in una sola volta si può osservare una riduzione del numero di spermatozoi nelle settimane seguenti alla irradiazione. Una dose più elevata può produrre sterilità temporanea nell'uomo e nella donna per uno o due anni, fino ad arrivare alla sterilità definitiva.
f) Occhio. La congiuntiva si infiamma e dosi elevate possono provocare opacità della lente cristallina (cataratta) che scompare solo dopo alcuni anni dalla irradiazione.
g) Sistema respiratorio. I tessuti bronchiali e polmonari rispondono con fenomeni di tipo infiammatorio-essudativo ed il polmone, a distanza di tempo, può presentare fenomeni di fibrosi (secrezione di un muco particolarmente spesso).
Effetti immediati delle radiazioni. La foto si riferisce ad alcune vittime delle radiazioni dovute alla bomba atomica di Nagasaki, sganciata il 9 agosto 1945. h) Tiroide. La secrezione ormonale della ghiandola tiroidea ha una certa riduzione per esposizione a dosi molto importanti di radiazione, fino ad arrivare a cessare.
i) Tessuto osseo. Il tessuto osseo è poco sensibile alle radiazioni, solo forti esposizioni possono compromettere il suo trofismo e dopo qualche mese o più può seguire la necrosi (fenomeno conosciuto in taluni casi di radiologia).
l) Encefalo. I tessuti encefalici sono molto sensibili, infatti con dosi molto elevate, somministrati in una sola volta, si può avere in poche ore o al più in qualche giorno la morte dell'individuo esposto.
m) I reni. Per dosi che superano la decina di Gy possono comparire lesioni di tipo degenerativo o sclerotico. La nefrosclerosi è causa di accorciamento della vita dell'individuo irradiato.
In caso di irradiazione dell'intero organismo (raggi x e g) un individuo che viene irradiato in breve tempo:
§ con 0.25 Gy, non presenta sintomi;
§ con 0.50 Gy, può comparire nausea, lieve malessere e riduzione dei globuli rossi nella seconda e terza settimana;
§ con 1 Gy la nausea è forte, accompagnata da vomito e astenia. Nella II-IV settimana appare prima leucopenia e poi anemia riducendo le capacità di difesa dell'organismo;
§ con 2 Gy si ha una vera e propria malattia, con esito talvolta mortale: si tratta della sindrome acuta da radiazioni che è tanto più grave quanto più elevata è la dose ricevuta. Dopo uno stato iniziale di lieve shock, con nausea, vomito e inappetenza, segue uno stadio di latenza e poi compare lo stato acuto con astenia grave, febbre, tachicardia, ipotensione arteriosa, diarrea, tendenza al collasso cardiocircolatorio, leucopenia grave, anemia marcata, riduzione delle piastrine e diatesi emorragica. Il sintomo predominate è comunque l'anemia.
§ con 4 Gy la sindrome acuta si presenta più grave e il 50% degli irradiati non adeguatamente curati va a morte in un lasso di tempo tra i 30 e i 60 giorni.
§ con 6 Gy la sindrome si presenta molto aggravata ed il 100% degli irradiati muore nell'arco di 30 giorni successivi alla irradiazione.
§ con dosi superiori a 6 Gy il decorso clinico cambia, lo stadio acuto è dominato dalla caduta dell'epitelio intestinale e comporta grave shock e setticemia, il decorso termina sempre con la morte dell'individuo irradiato. Precisamente:
o L'assorbimento di dosi da 10 a 15 Gy provoca gravi lesioni al midollo osseo, che portano a infezione ed emorragie; la morte, se sopravviene, può essere attesa da quattro a cinque settimane dopo l'esposizione e in genere colpisce circa la metà dei pazienti che sono stati colpiti al midollo osseo.
o L'esposizione di tutto il corpo a dosi da 10 a 40 Gy causa danni vascolari meno gravi, ma provoca la perdita di liquidi ed elettroliti nello spazio intracellulare e nel canale digerente; la morte avviene entro 10 giorni, come conseguenza dello squilibrio liquido ed elettrolitico, della distruzione del midollo osseo e di eventuali infezioni.
o Un'esposizione a dosi maggiori di 40 Gy danneggia gravemente il sistema vascolare dell'uomo, causando edema cerebrale, shock, disturbi neurologici e morte entro 48 ore.
Effetti tardivi
Questi effetti, che si manifestano dopo anni, talora decenni dall'irradiazione, sono a carattere probabilistico (stocastico), non richiedono il superamento di valore-soglia per comparire, hanno frequenza di comparsa piccola e non del tipo “tutto o niente” qualunque sia stata la dose. La denominazione “effetti stocastici” mette in evidenza il fatto che vanno studiati su gruppi di persone esposte, tanto più vasti quanto più piccola è la dose pro-capite e la connessa frequenza di comparsa. Gli effetti probabilistici sono rappresentati da malattie che esistono già spontaneamente tra la popolazione, essi si aggiungono ai casi spontanei e sono: leucemia e tumori maligni dei quali parleremo più avanti.
Questi effetti sono stati osservati sull'uomo dopo esposizione al corpo intero a qualche decimo di Gy o dopo esposizione di parte corporee a qualche Gy, ricevuti in una sola volta o più volte, ma per lo più entro un tempo relativamente breve (qualche settimana). Le leucemie sono un effetto probabilistico tardivo molto studiato e compaiono tra i 3 e i 15 anni dopo l'irradiazione. Altri forme tumorali maligne (carcinoma mammari, cutanei, polmonari e tiroidei, sarcomi ossei) compaiono tra i dieci e i trent'anni dall'irradiazioni e sono anch'essi effetti stocastici delle radiazioni.
Le caratteristiche fondamentali degli effetti tardivi sono:
A. Linearità della relazione dose-effetto alle piccole dosi. La probabilità di eventi dannosi sull'individuo o la frequenza di eventi dannosi sulla popolazione esposta sono direttamente proporzionali alla dose individuale o rispettivamente alla dose media ricevuta pro-capite. Questa ipotesi spinge a ridurre ogni dose anche sotto i valori massimi ammissibili.
B. Mancanza di una dose soglia. Per piccole dosi vi è una probabilità minima di effetti probabilistici sulle persone esposte. Questa ipotesi fa sì che non si possa pensare ad una dose senza rischio. Anche dosi piccolissime presentano un rischio non rigorosamente nullo.
C. Mancanza di azione sinergica tra esposizione di varie parti ed organi corporei. La reazione alla radiazione di una parte del corpo non è influenzata, in modo determinante, da irradiazioni di altre parti del corpo. Pertanto il rischio di effetti tardivi, connesso con l'irradiazione del corpo intero, è la somma dei rischi dovuti all'irradiazione dei suoi organi e tessuti costitutivi.
D. Irrilevanza della distribuzione temporale della dose somministrata. Una dose comporta una determinata probabilità di effetto, sia che venga somministrata in una sola volta, sia che venga suddivisa in più volte. Su questa caratteristica ci sono teorie contrastanti, pertanto sono necessarie altre verifiche epidemiologiche e una nuova sperimentazione.
E. Irrilevanza della distribuzione spaziale a livello macroscopico della dose somministrata.
Per il rischio-probabilità di effetti tardivi è rilevante la dose media all'organo e non la distribuzione della dose ricevuta zona per zona negli organi sensibili. La suddetta ipotesi è praticabile per dosi locali fino ad alcuni Gy. Per esempio, se l'intero midollo osseo è colpito da una dose piccola oppure se 1/5 del midollo è colpito da una dose 5 volte maggiore, la probabilità degli effetti probabilistici (leucemia) non cambia.
Tra gli effetti tardivi, quello che spicca per gravità e frequenza è il tumore. Per capire precisamente quali origini abbia questa malattia, che è la causa più comune di morte in Italia e non solo, dobbiamo partire dal considerare il ciclo cellulare. E’ stato dimostrato, infatti, che la divisione cellulare (la fase M detta anche mitosi) non può avvenire per ogni cellula infinite volte. Dopo 50 fasi M, la cellula va in apoptosi ovvero si contrae il citoplasma, il nucleo e degenerano i cromosomi. Quindi appare evidente che, normalmente, il ciclo venga controllato da alcuni fattori di regolazione del ciclo cellulare che possiamo dividere in interni ed esterni:
- Interni. MPF: L’MPF è uina proteina che regola la spiralizzazione dei cromosomi (iportante fase della mitosi). Essa è soggetta ad opera regolatrice delle informazioni genetiche contenute nel nucleo. Con l’ingegneria genetica si è riusciti a produrre MPF, in quanto si è riusciti ad individuare il gene che si occupa della sua sintesi.
- Esterni. Inibizione da contatto: quando delle cellule che stanno effettuando la mitosi si toccano, l’azione mitotica cessa. Fattori di crescita: sono delle proteine rilasciate da altre cellule (che possono essere vicine o lontane) che formano un tutt’uno con dei recettori situati sulla membrana cellulare delle cellule che si devono dividere: quando questo accade avviene la duplicazione semiconservativa del DNA (fase S). Se i fattori di crescita sono prodotte da cellule lontane a quelle bersaglio, essi viaggiano attraverso il circolo sanguigno.
Focalizziamo la nostra attenzione, ora, sui fattori di crescita. Queste proteine, in quanto tali, sono sintetizzate durante la sintesi proteica grazie alle informazioni provenienti dal DNA e, precisamente, da uno o più geni strutturali. Questi sono costituiti da una porzione di DNA e, quindi, da una serie di nucleotidi. Le radiazioni ionizzanti, possono far incorrere errori nella duplicazione del DNA e, quindi, possono dar luogo a geni mutati. Questi sono del tutto simili, il linea di principio, a quelli mutati artificialmente dai biologi tramite le tecniche di Ingegneria Genetica. Solo che, in questo caso, le mutazioni sono assolutamente casuali: possono colpire qualsiasi gene strutturale e possono avere diverse conseguenze. Potranno essere, infatti: neutre, vantaggiose e svantaggiose; potranno essere: cromosomiche o geniche (di sostituzione di una coppia di basi azotate con un’altra, di inserzione di una o più coppie di basi, di delezione cioè di una cancellazione di una o più basi, di riordinamento dovuto ad una inversione nell’ordine delle basi come un capovolgimento); potranno essere, inoltre: somatiche se interessano le cellule somatiche (e quindi solo l’organismo che ne è portatore), germinali se interessano le cellule sessuali (possono essere ereditate alla prole
I geni strutturali dei fattori di crescita sono detti protoncogeni (negli esseri umani sono circa 100 a persona). Essi, per effetto delle radiazioni, possono incorrere in una o più di una delle mutazioni sopraelencate (sostituzione, inserzione, delezione e/o riordinamento). Il risultato di questa mutazione sarà un gene strutturale simile al protoncogene, ma non uguale. E’ opportuno precisare che non solo le radiazioni ionizzanti possono far mutare un gene. Gli agenti mutageni sono diversi e, fra questi ricordiamo alcune sostanze contenute nei fertilizzanti, nei diserbanti, nei coloranti, e nel fumo di sigaretta. Qualunque sia la causa della mutazione, il gene che deriva dal protoncogene può avere delle particolari caratteristiche e, per queste, essere chiamato oncogene. Queste particolari caratteristiche fanno sì che la proteina che ne deriva, simile al fattore di crescita iniziale, presenti dei difetti dagli effetti disastrosi. Ad esempio, può avvenire che il fattore di crescita mutato, ordini una stimolazione alla divisione incontrollata delle cellule vicine. Queste cellule, che tendono a moltiplicarsi in continuazione sono dette cellule tumorali e si contraddistinguono per particolari caratteristiche:
- hanno una forma globulare (non sono appiattite);
- sono indifferenziate (come le cellule embrionali);
- non muoiono, ovvero per loro non avviene l’apoptosi.
Cellule cancerose. Le cellule cancerose sono degenerazioni di cellule tissutali, profondamente diverse da quelle da cui derivano, che si moltiplicano a formare voluminose masse tumorali. Qui fotografato, un teratoma ovarico.
Un’insieme di cellule tumorali è alla base di un tumore. Il tumore può essere di due tipi, benigno o maligno:
- Benigno: provoca l’accrescimento illimitato di cellule appartenenti ad un solo organo;
- Maligno (detto anche cancro soprattutto se alla pelle): le cellule in riproduzione si disperdono attraverso il torrente circolatorio ed attaccano altri organi formando metastasi (cellule tumorali distaccate).
I tumori benigni e le cisti, racchiusi da un rivestimento di tessuto senza apertura, di solito non provocano conseguenze negative; al massimo, possono notevolmente ingrossarsi e quindi esercitare una pressione sugli organi o sui nervi vicini. I tumori benigni possono, però, degenerare e diventare maligni, per cui spesso vengono asportati a scopo precauzionale.
I tumori maligni non sono né contagiosi né ereditari. Al massimo, ma neppure questo è sicuro, si può ereditare la predisposizione ad ammalarsi di tumore maligno. Un cancro può prodursi in quasi tutte le parti del corpo, compreso il sangue (leucemia). Si parla di carcinoma quando il tumore ha origine nella pelle, nelle membrane mucose e nelle ghiandole, di sarcoma quando ha origine nei tessuti connettivi, come l’osso o il muscolo.
Cancro: sviluppo e diffusione. Il cancro ai polmoni sopravviene quando le cellule del tessuto epiteliale che riveste le vie aeree iniziano a riprodursi in modo incontrollato. In questo modo formano una massa tumorale solida, detta carcinoma, che può invadere i tessuti circostanti. Se le cellule tumorali riescono a penetrare nei vasi sanguigni e linfatici, possono essere trasportate in tutto il resto del corpo, dando origine a nuovi tumori. Queste formazioni (metastasi) costituiscono la caratteristica più pericolosa e meno controllabile del cancro.
Vi sono vari sintomi che possono indicare la presenza di un tumore maligno. I possibili campanelli d’allarme sono sette e, visto che non sarà mai abbastanza l’informazione fatta su questi temi così importanti, si ritiene opportuno riportarli anche in questa sede, consigliando di segnarli immediatamente al proprio medico qualora se ne verifichi l’insorgenza:
1. nodulo o rigonfiamento, nella donna specie al seno;
2. persistente difficoltà di digestione e perdita di appetito;
3. nella donna, insolita perdita di sangue o di secrezioni dalla vagina o dal capezzolo;
4. perdita di peso inesplicabile ed improvvisa;
5. persistente raucedine e difficoltà nella deglutizione;
6. sangue nelle feci o persistente stitichezza o diarrea;
7. ferite che non si rimarginano.
La ricerca contro il cancro ha fatto e sta facendo passi da gigante ma ancora non esistono terapie complete, sempre efficaci e senza controindicazioni.
I mezzi tradizionali per il trattamento del cancro sono l’intervento chirurgico, la radioterapia e la chemioterapia:
Intervento chirurgico. Il principale approccio alla cura del cancro è l'asportazione di tutte le cellule maligne tramite intervento chirurgico. Il miglioramento delle tecniche chirurgiche, l'approfondimento della conoscenza della fisiologia e i progressi nell'anestesia consentono oggi di eseguire interventi chirurgici meno estesi, con possibilità di guarigione più rapida e minore invalidità successiva. Tuttavia, molti tipi di cancro, nel momento in cui viene effettuata la diagnosi, sono in uno stadio troppo avanzato per essere asportati chirurgicamente. Se l'estensione locale interessa tessuti che non possono essere sacrificati, o se sono presenti metastasi distanti, la chirurgia non può curare il cancro. Anche quando è evidente che l’intervento chirurgico non determina la guarigione, esso può comunque alleviare i sintomi e ridurre le dimensioni del tumore nel tentativo di migliorare la risposta del paziente alla successiva radioterapia o chemioterapia.
Radioterapia. La sensibilità dei tumori alla radioterapia, ossia al "bombardamento" del tessuto mediante radiazioni, è molto variabile. Un tumore è definito sensibile quando è più vulnerabile all'effetto delle radiazioni rispetto ai tessuti normali che lo circondano. Quando un tumore è facilmente raggiungibile, come ad esempio, un tumore superficiale o un tumore localizzato in un organo come l'utero, nel quale è possibile introdurre una fonte di radiazioni, può essere curabile con la radioterapia. Poiché tende a risparmiare i tessuti normali, la radioterapia è utile quando un tumore non può essere asportato perché l'intervento chirurgico danneggerebbe tessuti vitali contigui, o perché ha iniziato a penetrare in strutture vicine che non possono essere sacrificate. C’è comunque da precisare che la radioterapia non è certo esente da effetti collaterali, che determinano una vera e propria patologia: la malattia da radiazioni. Tra i sintomi che questa patologia comporta vi sono nausea, diarrea, vomito, perdita momentanea dei capelli e anemia. La soluzione può consistere nella riduzione delle radiazioni somministrate o, nel caso di persistenza dei sintomi, anche la sospensione della cura.
Chemioterapia. Il complesso dei farmaci che vengono somministrati in varie combinazioni e dosaggi prende il nome di chemioterapia antitumorale. Poiché i farmaci si distribuiscono in tutto l'organismo attraverso la circolazione sanguigna, la chemioterapia si impiega nei tumori che si sono diffusi in zone difficilmente accessibili con la chirurgia o la radioterapia. Si tratta di trattamenti molto aggressivi che devono distruggere le cellule tumorali lasciando il più possibile intatte quelle sane. Viene somministrata a cicli, dopo i quali si verificano i risultati ottenuti in termini di arresto della crescita del tumore o di riduzione della massa. I cicli ripetuti possono indebolire sempre di più il tumore prima che sviluppi resistenza. Alcuni tumori, ad esempio il cancro dell'utero, la leucemia acuta (soprattutto nei bambini), il linfoma di Hodgkin e il linfoma gigantocellulare, il carcinoma del testicolo e molti tipi di cancro dei bambini sono così sensibili alla chemioterapia che in un'alta percentuale di casi possono guarire. Spesso, al momento della diagnosi, questi tipi di cancro sono già diffusi nell'organismo e non possono essere trattati con terapie differenti. Altri tipi di cancro, anche se avanzati, rispondono bene alla chemioterapia e possono essere tenuti sotto controllo a lungo. Nonostante però i grandi progressi fatti dalla medicina in questo campo, gli effetti collaterali della chemioterapia restano piuttosto pesanti e il trattamento molto fastidioso. Vi sono tuttavia nuove cure, diverse da quelle tradizionali ma ancora da perfezionare.
Molti tipi di cancro derivanti da tessuti la cui fisiologia dipende dall'azione di ormoni, come prostata, mammelle, endometrio (rivestimento interno dell'utero) e tiroide, rispondono al trattamento ormonale, che consiste nella somministrazione di vari ormoni con azione inibente sulla crescita tumorale. In particolare, sembra che l'assunzione di ormoni femminili possa costituire una terapia per il cancro della prostata, e di ormoni maschili o femminili per quello della mammella.
Attualmente si stanno profilando nuovi e promettenti approcci alla terapia del cancro. La ricerca si sta occupando di antigeni tumorali specifici, contro i quali è possibile attivare degli anticorpi. Questi anticorpi antitumorali potrebbero essere usati per trattare il cancro sia direttamente che in combinazione con un chemioterapico, in quanto l'anticorpo potrebbe identificare la cellula maligna e attaccarvisi, portando così il farmaco direttamente sul bersaglio.
Un altro settore di ricerca in espansione è quello della terapia genica, che impiega vari metodi per introdurre materiale genetico nel tessuto canceroso e per renderlo, così, più facilmente riconoscibile da parte del sistema immunitario.
Sono in corso studi sullo sviluppo di vaccini, basati sull'asportazione di cellule dal paziente e sul loro trattamento in laboratorio, in modo che secernano una proteina in grado di stimolare il sistema immunitario.
Una teoria che, si spera, possa rivoluzionare presto il panorama delle terapie antitumorali è quella dell’Anti-Angiogenesi di Folkman.
L’angiogenesi è il processo biologico che porta alla formazione di nuovi vasi grazie alla proliferazione delle cellule endoteliali. Essa risulta di fondamentale importanza durante lo sviluppo embrionale e la crescita di un individuo. Nell’adulto, in condizioni normali il sistema microvascolare è quiescente e può tuttavia essere rapidamente attivato per brevi periodi in risposta a determinate esigenze dell’organismo. L’angiogenesi più intensa e significativa è quella che riguarda la neovascolarizzazione tumorale, dal momento che essa è di fondamentale importanza per la sopravvivenza stessa della massa tumorale e per la sua attività metastatica. Nel 1984 Folkman (lo scienziato al quale si devono gli studi più significativi nel campo dell’angiogenesi) scriveva: "Una volta che il tumore si è sviluppato, ogni aumento della popolazione cellulare tumorale può essere preceduta da un incremento nel numero di nuovi capillari che si dirigono verso il tumore". Quest’espressione riassume perfettamente la diretta dipendenza della crescita tumorale e dall’angiogenesi. L’angiogenesi è inoltre necessaria sia all’inizio che alla fine dello sviluppo di una metastasi. Infatti, nel tumore primario durante il processo di formazione della nuova rete vascolare, le pareti delle neovenule risultano altamente permeabili, il che facilita il passaggio in circolo di cellule metastatiche. Una efficace attività angiogenica è, poi indispensabile a livello del focolaio metastatico la cui crescita si arresterebbe ad un volume massimo di 2 mm, dal momento che la massima distanza tra una cellula tumorale ed il letto capillare neoformato può essere di 150/200 µm, distanza che permette ancora la diffusione dell’ossigeno. Sebbene un’aumentata produzione di fattori angiogenici sia necessaria, essa non è tuttavia sufficiente a far acquisire al tumore un fenotipo angiogenico. Contemporaneamente, infatti, si deve avere una diminuzione dei fattori che modulano negativamente la sintesi di nuovi vasi.
Chemioterapia. Il complesso dei farmaci che vengono somministrati in varie combinazioni e dosaggi prende il nome di chemioterapia antitumorale. Poiché i farmaci si distribuiscono in tutto l'organismo attraverso la circolazione sanguigna, la chemioterapia si impiega nei tumori che si sono diffusi in zone difficilmente accessibili con la chirurgia o la radioterapia. Si tratta di trattamenti molto aggressivi che devono distruggere le cellule tumorali lasciando il più possibile intatte quelle sane. Viene somministrata a cicli, dopo i quali si verificano i risultati ottenuti in termini di arresto della crescita del tumore o di riduzione della massa. I cicli ripetuti possono indebolire sempre di più il tumore prima che sviluppi resistenza. Alcuni tumori, ad esempio il cancro dell'utero, la leucemia acuta (soprattutto nei bambini), il linfoma di Hodgkin e il linfoma gigantocellulare, il carcinoma del testicolo e molti tipi di cancro dei bambini sono così sensibili alla chemioterapia che in un'alta percentuale di casi possono guarire. Spesso, al momento della diagnosi, questi tipi di cancro sono già diffusi nell'organismo e non possono essere trattati con terapie differenti. Altri tipi di cancro, anche se avanzati, rispondono bene alla chemioterapia e possono essere tenuti sotto controllo a lungo. Nonostante però i grandi progressi fatti dalla medicina in questo campo, gli effetti collaterali della chemioterapia restano piuttosto pesanti e il trattamento molto fastidioso. Vi sono tuttavia nuove cure, diverse da quelle tradizionali ma ancora da perfezionare.
Molti tipi di cancro derivanti da tessuti la cui fisiologia dipende dall'azione di ormoni, come prostata, mammelle, endometrio (rivestimento interno dell'utero) e tiroide, rispondono al trattamento ormonale, che consiste nella somministrazione di vari ormoni con azione inibente sulla crescita tumorale. In particolare, sembra che l'assunzione di ormoni femminili possa costituire una terapia per il cancro della prostata, e di ormoni maschili o femminili per quello della mammella.
Attualmente si stanno profilando nuovi e promettenti approcci alla terapia del cancro. La ricerca si sta occupando di antigeni tumorali specifici, contro i quali è possibile attivare degli anticorpi. Questi anticorpi antitumorali potrebbero essere usati per trattare il cancro sia direttamente che in combinazione con un chemioterapico, in quanto l'anticorpo potrebbe identificare la cellula maligna e attaccarvisi, portando così il farmaco direttamente sul bersaglio.
Un altro settore di ricerca in espansione è quello della terapia genica, che impiega vari metodi per introdurre materiale genetico nel tessuto canceroso e per renderlo, così, più facilmente riconoscibile da parte del sistema immunitario.
Sono in corso studi sullo sviluppo di vaccini, basati sull'asportazione di cellule dal paziente e sul loro trattamento in laboratorio, in modo che secernano una proteina in grado di stimolare il sistema immunitario.
Una teoria che, si spera, possa rivoluzionare presto il panorama delle terapie antitumorali è quella dell’Anti-Angiogenesi di Folkman.
L’angiogenesi è il processo biologico che porta alla formazione di nuovi vasi grazie alla proliferazione delle cellule endoteliali. Essa risulta di fondamentale importanza durante lo sviluppo embrionale e la crescita di un individuo. Nell’adulto, in condizioni normali il sistema microvascolare è quiescente e può tuttavia essere rapidamente attivato per brevi periodi in risposta a determinate esigenze dell’organismo. L’angiogenesi più intensa e significativa è quella che riguarda la neovascolarizzazione tumorale, dal momento che essa è di fondamentale importanza per la sopravvivenza stessa della massa tumorale e per la sua attività metastatica. Nel 1984 Folkman (lo scienziato al quale si devono gli studi più significativi nel campo dell’angiogenesi) scriveva: "Una volta che il tumore si è sviluppato, ogni aumento della popolazione cellulare tumorale può essere preceduta da un incremento nel numero di nuovi capillari che si dirigono verso il tumore". Quest’espressione riassume perfettamente la diretta dipendenza della crescita tumorale e dall’angiogenesi. L’angiogenesi è inoltre necessaria sia all’inizio che alla fine dello sviluppo di una metastasi. Infatti, nel tumore primario durante il processo di formazione della nuova rete vascolare, le pareti delle neovenule risultano altamente permeabili, il che facilita il passaggio in circolo di cellule metastatiche. Una efficace attività angiogenica è, poi indispensabile a livello del focolaio metastatico la cui crescita si arresterebbe ad un volume massimo di 2 mm, dal momento che la massima distanza tra una cellula tumorale ed il letto capillare neoformato può essere di 150/200 µm, distanza che permette ancora la diffusione dell’ossigeno. Sebbene un’aumentata produzione di fattori angiogenici sia necessaria, essa non è tuttavia sufficiente a far acquisire al tumore un fenotipo angiogenico. Contemporaneamente, infatti, si deve avere una diminuzione dei fattori che modulano negativamente la sintesi di nuovi vasi.
Gli effetti genetici
Gli effetti sulla prima generazione possono essere dovuti all'azione delle radiazioni sui tessuti embrionali o sugli organi fetali oppure come conseguenza di danni sulle cellule germinali dei genitori. In sintesi essi possono essere danni somatici sul prodotto del concepimento oppure danni genetici che si manifestano nel prodotto di concepimento.
- Nel primo mese di gravidanza dosi di alcuni decimi di Gy ricevuti sull'embrione possono talvolta provocare l'aborto, questo diviene più probabile per dosi maggiori.
- Sul finire del primo mese e fino alla prima parte del terzo mese,una bassa esposizione dell'embrione non è abortiva, ma assai temibile perché lo colpisce mentre sta formando gli organi e gli apparati corporei. Si possono verificare, con probabilità molto alte, varie malformazioni.
- Dalla seconda parte del terzo mese e fino al termine della gravidanza,ancora basse esposizioni non provocano né aborti né malformazioni ma sono capaci di indurre effetti tardivi a carattere probabilistico nei primi anni di vita del nascituro.
Se è possibile, è bene evitare gli esami radiologici sull'addome nei primi mesi di gravidanza. Per ragioni di cautela, è opportuno evitare tali esami nella seconda quindicina del ciclo mensile delle donne in età fertile, quando cioè l'ovulazione è avvenuta e può essersi instaurata una gravidanza.
I danni di natura genetica compaiono nei discendenti delle persone irradiate sulle gonadi. Il materiale genetico delle cellule riproduttive delle gonadi è formato da cromosomi e di geni. Essi sono presenti in tutte le cellule del corpo, ma solamente quelli delle cellule riproduttive sono trasmesse all'uovo fecondato e quindi passano da una generazione di individui a quella successiva. Quando sono irradiate le cellule riproduttive di un individuo si possono produrre cambiamenti nei geni e nei cromosomi che sono poi trasmessi ai discendenti. Questi cambiamenti sono i seguenti:
a) Mutazioni genetiche, vale a dire alterazione nella funzione dei singoli geni;
b) Aberrazioni cromosomiche che risultano dalla rottura e riorganizzazione dei cromosomi;
c) Variazione del numero dei cromosomi.
Per quel che riguarda le mutazioni genetiche un certo numero di esse compare spontaneamente in ogni generazione, l'azione della radiazione consiste nell'aumento della frequenza di comparsa di mutazioni. Una volta che una mutazione si è realizzata permane nel patrimonio ereditario e passa da generazione in generazione manifestandosi in tutti i discendenti (mutazioni dominanti) o solo in una parte di essi (mutazioni recessive)
Un certo numero di aberrazioni cromosomiche si realizzano spontaneamente provocando malformazioni congenite e varie forme morbose. Un tipo di aberrazione è la traslocazione e scambio di parte tra due cromosomi. Nella traslocazione bilanciata le parti scambiate sono conservate, nella traslocazione non bilanciata una delle parti scambiate è incompleta.
Per dosi non elevate (0,01 Gy) somministrate in un tempo abbastanza lungo (esposizione critiche) a tutti i componenti di una generazione, la frequenza di mutazioni spontanea ha un incremento di circa 1% per 0,01 Gy.
2 commenti:
Ho trovato l'articolo molto interessante, completo ed approfondito, pur nel suo inquietante realismo.
Ecco, Io ho subito la radiazione alla prostata nel 2003, dopo cancro al retto(1999 con una sacca a J ), sacchetto per 6 mesi e risezione. ho avuto 3 iniezioni al " lupron": la quarta l'ho evitata per li effetti estremi, ed anche pastiglie femminili( per ridurre il testosterone.
Per 5 anni tutto e' andato bene: digestione, eliminazione orina, ma dopo approssimamente 5 anni ho cominciato ad avere problemi seri: difficoltà' alla digestione, urgenza ad orinare, e, peggio, dopo 12 anni, il ritorno del cancro( il "PSA" e' andato da 1 a 17 in un anno( devo ammettere che ho preso pastiglie di Creatina senza sapere che un effetto collaterale era più' testosterone e derivante aumento del PSA. Una cistoscopia ha causato il blocco dell'urina: sono stato sottoposto al raschiamento della prostata(sic!), ma, al momento di ritiro del tubetto lo stato e' ritornato peggio di prima. Mi era stato detto che la radiazione alla prostata proibisce operazione chirurgica. Lo specialista che ha fatto
il processo mi disse che non dovevo fare le radiazioni, ma l'operazione del cancro al retto proibiva altre operazioni al basso ventre e nessuno mi fece sapere della possibilità' del LASER. Ora, saggio ma senza alternative, sono un po' amareggiato di essere stato usato come cavia e sono il solo a soffrire le conseguenze.!!!
Voi come la pensate?
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