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venerdì 12 settembre 2008

idrogeno biologico, microalga Chlamydomonas

Grazie alla ricerca applicata condotta dal gruppo di lavoro del prof. Giovanni Giuliano dell’Enea, i cui risultati sono stati pubblicati da Plos One, rivista “open access” della Public Library of Science, nei laboratori di Biotecnologie è stata ottenuta una nuova varietà della microalga “Chlamydomonas”, che può illuminarsi e spegnersi grazie all’aggiunta di sali al mezzo di coltura.

I ricercatori hanno trasferito in questa alga di acqua dolce, che diversamente da altre alghe marine non ha luminescenza propria, il gene della luciferasi che rende luminescente la “Renilla” (un’alga conosciuta come “viola marina”). Il gene viene attivato da una sorta di “interruttore genetico” (detto promotore), azionato con l’aggiunta di un sale comune al mezzo di coltura. Aggiungendo poi un secondo sale antagonista, l’alga si “spegne”, proprio come un normale interruttore.

La quantità di sali necessaria è bassa, e quindi il costo è compatibile con grossi impianti di coltura che permettono grandi produzioni. Le microalghe “modificate” convertono l’energia solare con un’efficienza molto più alta delle piante terrestri e sono in grado di “fissare” la CO2 proveniente dagli impianti industriali, contribuendo ad una mitigazione dell’effetto serra e producendo biocombustibili innovativi: biodiesel e idrogeno. La ricerca è stata appunto finanziata del Ministero per l’Università nell’ambito del progetto “Produzione biologica di idrogeno”: questa scoperta infatti apre nuove prospettive nel campo dei biocarburanti, senza ripercussioni sul mercato dei prodotti alimentari.

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