NO AL NUCLEARE ESISTONO LE FONTI RINNOVABILI. AMBIENTE,NATURA,DIFESA DEL PIANETA. SALUTE
domenica 31 maggio 2009
POLO NORD: Sotto i ghiacci greggio per almeno tre anni e metano per 14 MA L'AMBIENTE????!!!
Sotto la calotta artica che va assottigliandosi, un oceano di materie prime. Miliardi di barili di petrolio e migliaia di miliardi di metri cubi di gas naturale, probabilmente destinati a intensificare la battaglia geostrategica, già in corso, per le risorse energetiche nascoste all'ombra dei ghiacci eterni. Una potenziale benedizione, secondo i fautori delle trivellazioni senza confini e senza patemi. O una pericolosa e devastante tentazione, secondo gli ambientalisti, preoccupati dello stato di salute di un ecosistema fragilissimo e già a rischio.
Uno studio dell'Us Geological Survey, pubblicato questa settimana su Science Magazine, rivela che il 30% di tutti i giacimenti non ancora scoperti del pianeta di gas naturale e il 13% di quelli di petrolio, sono localizzati sotto i fondali del Polo Nord. Detto altrimenti, la regione più settentrionale della Terra conterrebbe da sola l'equivalente dell'intero fabbisogno mondiale di greggio per 3 anni e di metano per 14 anni. Quest'ultimo dato, soprattutto, porta Donald Gautier, lo scienziato che ha guidato la ricerca, a concludere che «la futura preminenza della Russia nel controllo strategico delle risorse di gas è destinata ad accentuarsi ed estendersi». Gran parte dell'area che contiene il futuro scrigno dell'energia appartiene infatti alla Federazione Russa, già oggi maggior produttore al mondo di gas naturale. Quello degli studiosi americani è il primo rapporto dettagliato sul potenziale energetico dell'Artico, dove la durezza delle condizioni climatiche e orografiche, oltre ai relativi ritardi della tecnologia, ha finora limitato le esplorazioni a poche zone al largo delle coste degli Stati Uniti o della Russia.
Ma l'assottigliamento progressivo delle riserve di greggio (la cui produzione, in mancanzadi nuove scoperte, dovrebbe cominciare a calare dal 2020) e il lento ma progressivo scioglimento della calotta artica, dovuto all'effetto serra, hanno improvvisamente reso più attraente la nuova frontiera energetica del Grande Nord. Con il corollario che tutti i Paesi, i cui confini toccano il circolo polare, sono già pronti a lottare per rivendicare la loro quota del bottino. Oltre a Russia e Usa, anche Norvegia, Danimarca (per via della sovranità sulla Groenlandia) e Canada sono nella partita. «Nel bene e nel male — dice Paul Berkman, dello Scott Institute presso la Cambridge University in Inghilterra — le limitate prospettive di esplorazione altrove e i nuovi progressi tecnologici hanno reso l'Artico sempre più interessante per questo tipo di sviluppo». Nel 2001 Mosca aveva rivendicato formalmente presso le Nazioni Unite i suoi diritti di ricerca nella zona, contestata da tutti gli altri Paesi. Poi, due anni fa, un mini-sottomarino russo aveva piantato una bandiera di titanio sul fondale sotto il Polo Nord, in un'area rivendicata anche da Copenaghen.
All'inizio di maggio, la Russia ha fatto sapere di essere pronta a usare anche la forza militare per proteggere i suoi diritti nella regione. Illustrando le metodologie e i risultati della ricerca, Gautier ha detto che alle stime si è giunti grazie alla creazione di una mappa geologica, che ha permesso di identificare le rocce sedimentarie, potenzialmente in grado di ospitare riserve di petrolio e gas. Queste sono state poi comparate, grazie a modelli matematici di probabilità, a identiche stratificazioni in altre regioni del mondo, che contengono greggio o metano. L'esito è stato ben oltre le aspettative più ottimistiche: «A nostro avviso, a Nord del Circolo polare artico ci sono tra 40 e 160 miliardi di barili di petrolio, abbastanza cioè da soddisfare la domanda mondiale per più di tre anni. E 1,6 milioni di miliardi di metri cubi di gas naturale, che equivalgono a quasi 15 anni di consumo planetario». Ancora più invitante è il fatto che la maggior parte delle riserve si troverebbe sotto la cosiddetta piattaforma continentale, in una zona dove i fondali marini non sono mai a più di 500 metri, quindi relativamente facili da trivellare. Gautier e il suo team tuttavia non hanno volutamente preso in considerazione la praticabilità economica o l'impatto ambientale di eventuali perforazioni. Hanno però ricordato nello studio che, per quanto ingente, la quantità di greggio e gas potenzialmente individuata non è grande abbastanza da modificare gli attuali equilibri tra i grandi produttori mondiali, con la sola eccezione di rafforzare il ruolo dominante della Russia sul gas. Il dilemma sull'opportunità delle trivellazioni rimane quindi aperto, com'era già emerso durante la campagna elettorale americana dello scorso anno. «Drill, baby, drill» (Trivella, ragazza, trivella) era stato il grido di battaglia, dal richiamo ambiguamente sessuale, con cui Sarah Palin, governatrice dell'Alaska, lo Stato americano che si affaccia sull'area del tesoro nascosto, aveva inutilmente tentato di rilanciare le sorti del ticket repubblicano.
Con un compromesso bipartisan, il Congresso degli Stati Uniti ha già autorizzato una limitata attività di perforazione in alcune zone dell'Alaska, ma solo a partire da 250 chilometri al largo delle coste. Già troppo però per gli ambientalisti, mobilitati in difesa di quello che definiscono «il più fragile ecosistema del pianeta». Secondo Lisa Speer, direttrice dell'International Ocean Program al National Resources Defence Council, trivellare l'Artico potrebbe causare il rilascio di elementi tossici come arsenico, mercurio e piombo nell'Oceano: «Abbiamo bisogno di criteri uniformi e severi per ogni attività off-shore di petrolio: un solo Paese ha il potenziale di produrre conseguenze ben oltre i suoi confini». La minaccia a molte specie animali viene evocata da Steve Armstrup, dello stesso Us Geological Survey che ha prodotto lo studio, il quale ricorda che le aree dell'Alaska, identificate nella ricerca come potenzialmente più ricche di riserve di petrolio, hanno anche l'habitat ideale per orsi polari, foche e balene: «Occorrerà — spiega Armstrup — valutare con attenzione cosa significherebbe lo sviluppo di attività di ricerca e produzione di petrolio e gas per queste specie, alcune delle quali sono già oggi a rischio di estinzione».
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