Chiudere le scuole. La Federazione italiana medici pediatri chiederà al tavolo tecnico su come affrontare la pandemia di nuova influenza che si riunirà al ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali mercoledì anche di "prendere in seria considerazione" l’ipotesi di chiudere le scuole, la cui apertura è prevista a scaglioni a partire dal 14 settembre, per contenere la diffusione del virus A/H1N1. Lo ha detto il presidente della Fimp, Giuseppe Mele, precisando che la federazione chiederà esplicitamente anche che il ministero dell’Istruzione sieda al tavolo tecnico, al quale al momento non partecipa, "nell’ottica del maggior coordinamento possibile", sulla scorta di quanto chiesto dal direttore generale dell’Oms, Margaret Chan, che ha parlato della necessità che i governi nel loro complesso, e non solo i ministeri della Salute, prendano "alcuni interventi che hanno forti implicazioni economiche e sociali, come la chiusura delle scuole".
Virus incisivo "Qualunque misura che possa ridurre l’esposizione e il contagio di questo virus - spiega Mele - può e deve essere tenuta in considerazione". La chiusura delle scuole potrebbe, in questo senso, essere strategica: il virus, spiega l’esperto, ha un tasso di incidenza "estremamente alto, tra il 30% e il 50%. Questo significa che se lo potrebbe prendere un italiano su tre". Questo in termini assoluti, in termini relativi, invece, visto che il principale gruppo di rischio è quello tra i 7 mesi e i 27 anni, in quella fascia d’età "l’incidenza sarà ancora maggiore, e si tratta proprio della fascia d’età di chi va all’asilo, alle elementari, alle medie, ai licei e all’università".
Misure efficaci A oggi, spiega Mele, l’Italia ha adottato "misure di contenimento molto efficaci", ma il virus si sta diffondendo a una velocità incredibile e per l’inizio dell’autunno è prevista una ondata molto forte, a cui si aggiungerà, poi, quella dell’influenza stagionale. Già qualche mese fa il vice ministro alla Salute, Ferruccio Fazio, aveva ipotizzato di ritardare l’apertura delle scuole per evitare la diffusione del contagio, ma c’era stata una sorta di levata di scudi: "Fazio aveva ragione da vendere - precisa Mele - era una delle ipotesi da prendere in considerazione e lo è tanto più adesso. Non si può dire la scuola no perché sarebbe un collasso: bisogna collaborare e mettere in campo una programmazione che possa variare con agilità, all’evolversi della situazione".
Cifre Secondo la Fimp, nel picco della nuova influenza in una settimana si potrebbero mettere a letto tra 600mila e 1,2 milioni di italiani, cui si devono aggiungere quelli che si ammaleranno della stagionale: e, visto che il vaccino per l’A/H1N1 non sarà disponibile prima del 15 novembre, i pediatri chiederanno al ministero che "venga aumentata di almeno il 20% l’offerta attiva del vaccino contro la stagionale e che la sua distribuzione sia anticipata ai primi di ottobre".
I presidi: "Vedere caso per caso" L’ipotesi di chiudere le scuole per evitare la diffusione del contagio con il virus della nuova influenza può essere presa in considerazione, alla luce dell’evoluzione del virus, ma "non in modo generalizzato e centralizzato", bensì valutando "caso per caso". Lo ha detto il presidente dell’associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado, spiegando: "Bisogna essere fortemente pragmatici: la situazione della nuova influenza cambia continuamente e anche noi dobbiamo cambiare a secondo delle circostanze. Anche oggi, nonostante l’allarme, mi sembra difficile ipotizzare un intervento centralizzato e generalizzato sulle scuole. E poi fino a quando dovrebbero restare chiuse?".
Apertura Ma, contrariamente a qualche mese fa, quando l’Anp si oppose all’ipotesi di un ritardo nell’apertura dell’anno scolastico, adesso Rembado fa una apertura: "Troverei più opportuno che si valutasse caso per caso e in base alla situzione dell’istituto ma anche del territorio: ci sono scuole dove si potrebbe effettivamente presentare la necessità di una chiusura per contenere la diffusione del contagio, e altre dove non si presenterà". Per questo, le decisioni dovrebbero "spettare agli istituti, ovviamente in accordo con l’autorità sanitaria locale, con la Regione e con il Comune".
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