Chiudere la porta delle cellule in faccia al virus Hiv, responsabile dell'Aids, che prova a invaderle nella sua replicazione all'interno dell'organismo umano. È questo l'obiettivo di un nuovo vaccino terapeutico, cioè da impiegarsi nelle persone sieropositive allo scopo di rallentare la diffusione del virus nel corpo rendendole portatrici sane, sviluppato in Italia.
Il preparato, che mira alla produzione di anticorpi nei confronti della proteina "p17", responsabile della predisposizione delle cellule a essere attaccate dal virus, è stato presentato ieri all'università della Calabria nell'ambito di un convegno che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Robert Gallo, virologo americano di origini calabresi e Arnaldo Caruso, ordinario di microbiologia all'università di Brescia che ha coordinato l'attività di ricerca con il supporto di Medestea and Production Research di Torino e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.
Il vaccino, che ha ormai superato la fase preclinica risultando non tossico ed efficace, dovrebbe essere sperimentato nei prossimi mesi all'Istituto delle malattie infettive dell'università di Perugia diretto da Franco Baldelli, che coordinerà la ricerca, e in altri tre centri: a Milano, Torino e Brescia.
Per capire meglio su cosa si basa questa terapia innovativa con un vaccino, occorre comprendere bene il ruolo della proteina p17 nella diffusione virale studiato proprio a Brescia. «La proteina viene rilasciata dalle cellule infette promuovendo la proliferazione del virus e la sua diffusione all'interno dell'organismo - spiega Caruso - Il virus dopo aver legato la cellula bersaglio ed essere penetrato al suo interno, inizia a replicare e la cellula infettata produce grandi quantità di proteine virali che, in parte, andranno a formare nuovi virus e, in parte, verranno rilasciate nel microambiente extracellulare».
La p17 è una di queste: interagendo con una molecola espressa sulla superficie di altre cellule bersaglio del virus Hiv, le attiva rendendole più suscettibili all'infezione e le predispone a sostenere una ottimale replicazione virale. Da questa osservazione è nata l'ipotesi di lavoro. «Se questa proteina venisse a mancare il virus troverebbe un numero nettamente inferiore di cellule attive e, quindi, capaci di sostenerne la replicazione» - spiega Caruso. La vaccinazione mira a immettere nella persone sieropositiva la sola porzione attiva della p17 resa immunogenica, cioè in grado di promuovere la formazione di specifici anticorpi, attraverso il legame con una proteina trasportatrice. E proprio questi anticorpi saranno poi in grado di chiudere la porta di molte cellule potenzialmente attaccabili, facilitando la convivenza dell'organismo con il virus stesso.
Dagli Stati Uniti arriva un'altra incoraggiante notizia nella ricerca di nuovi bersagli utili per inibire l'infezione. Alcuni ricercatori coordinati da Dennis Burton dello Scripps Research Institute di La Jolla hanno infatti individuato una nuova componente virale che può essere attaccata con anticorpi specifici, un target di un potenziale vaccino. La ricerca è stata presentata sulla rivista Science. Per giungere a questo risultato si è lavorato su campioni di sangue di 1.800 persone con una nuota tecnologia, e la speranza è ovviamente quella di avere identificato un "punto debole" del virus che rimanga stabile (l'Hiv è infatti soggetto a mutazioni frequenti) e quindi guidi gli anticorpi nella loro caccia al nemico.
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