Strade interrotte e transennate con tanto di filo spinato. Sbarramenti di polizia. Divieto assoluto di scattare fotografie. Insulti e minacce. Tutto pur di nascondere il segreto della baia di Taiji, la città costiera a sud di Osaka, protagonista del film di Louie Psihovos e Richard O'Barry, «The Cove», premiato all'edizione 2009 del Sundace Film Festival. La pellicola racconta della mattanza di balene e soprattutto delfini che avviene ogni anno in questo angolo di Giappone. Un film documentario che da alcuni giorni è tornato ad essere drammatica realtà.
IL PRIMO «BOTTINO» - La prima battuta di pesca della stagione, iniziata ufficialmente il primo di settembre, si è conclusa con un bottino di un centinaio di delfini dal naso a bottiglia e di una cinquantina di balene pilota. La prefettura di Wakayama, in cui si trova la città, ha dichiarato che dei cento delfini catturati, i 40 o 50 esemplari più belli saranno venduti agli acquari, mentre gli altri saranno nuovamente rilasciati in mare. La carne di balena, invece, sarà venduta ai mercati del pesce per essere consumata. La quota assegnata ai pescatori giapponesi dalla International Whaling Commission per quest'anno è di 240 pezzi, tra delfini e balene.
IMMAGINI RUBATE - L'avvio della stagione è stato contrassegnato dalle proteste e dagli scontri verbali tra animalisti e i pescatori della città, che a quanto riferiscono le cronache non hanno affatto gradito l'essere diventati protagonisti di un film. La pellicola era stata realizzata di nascosto, con telecamere radiocomandate nascoste tra gli alberi e registrazioni subacquee, dopo che invano i due registi avevano tentato di ottenere l'autorizzazione delle autorità ad effettuare le riprese. E questo aveva consentito loro di raccogliere immagini agghiaccianti, come quella tristemente famosa del mare completamente colorato di rosso dal sangue degli animali arpionati. Immagini in grado di sconvolgere gli stessi giapponesi spesso ignari di cosa ci sia dietro i pezzi di pesce già ripulito e confezionato che trovano sugli scaffali dei supermercati, come ben si vede in una scena del documentario, accolto con grande interesse in tutto il mondo ma che con tutta probabilità avrà difficoltà a fare breccia in Giappone.
BUSINESS E TRADIZIONE - Il Paese asiatico ha sempre difeso la propria pesca tradizionale e non a caso è uno di quelli che non ha sottoscritto la moratoria internazionale contro la caccia alle balene, che le sue navi continuano regolarmente a praticare, con la scusante della caccia a scopi scientifici. Quanto ai delfini, le autorità hanno spesso fatto notare che il consumo di carne di delfino o di balena non può essere contestato dalle popolazioni occidentali, che consumano altri tipi di carne trovando che questo sia del tutto normale. «E' esattamente la stessa cosa» dicono alcuni abitanti della zona di Taiji, nelle corrispondenze delle agenzie di stampa. Non solo: molti ricordano come la caccia ai mammiferi marini non sia soltanto un business, ma una tradizione culturale, tanto che ogni anno vengono organizzate cerimonie rituali per rendere omaggio agli spiriti dei delfini e delle balene morte.
DELFINI PER BALENE - Gli animalisti però non ci stanno e ricordano come i delfini finiscano "per sbaglio" nelle reti gettate per catturare le balene e come spesso, nei ristoranti, la carne di delfino sia spacciata come carne di balena, particolarmente ricercata e per questo più costosa. Non solo: denunciano livelli di inquinamento da mercurio particolarmente elevati per i mammiferi che vivono in queste acque e che si trasferiscono poi, di conseguenza, nei piatti degli ignari consumatori.
Fonte:corriere.it
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