''Per noi era un lavoro'', non pensavamo al fatto che gettare rifiuti pericolosi nel mare avrebbe causato morti e malattie, e poi ''anche con la droga si muore''. Cosi', il pentito di mafia Francesco Fonti in diretta dai microfoni di Radio Anch'io dedicata al ritrovamento della nave carica di rifiuti tossici al largo della costa ionica. L'uomo ha spiegato che nel traffico c'era il coinvolgimento anche di altri Paesi, senza specificare quali, e ha detto che navi con rifiuti tossici sono state affondate in altri mari, oltre al Mediterraneo.
Nella casa dove si trova nascosto da alcuni anni, agli arresti domiciliari per motivi di salute, Francesco Fonti, 61 anni da Bovalino, il collaboratore di giustizia che denunciò per primo alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria l'affondamento di tre navi dei veleni, ha avuto il tempo di preparare un libro che aspetta ora solo un editore; il Sole 24 Ore ha potuto leggerne le bozze.
E da lì parte l'intervista a quest'uomo – tra i pochi pentiti di ‘ndrangheta ritenuti attendibili – che entro la prossima settimana sarà nuovamente sottoposto al programma di protezione che abbandonò volontariamente nel 1999. Nuovo cambio di vita e altro trasloco in Italia con generalità ancora una volta modificate.
Perché nelle bozze del suo libro fa solo un accenno all'affondamento delle navi dei veleni al largo delle coste calabresi?
Perché dopo la consegna di un memoriale di 49 pagine nel 2003 nelle mani del sostituto procuratore nazionale antimafia Enzo Macrì, uomo di grande coraggio, ho avuto esperienze negative con la magistratura lucana e in particolare con la Dda di Potenza. Ho pensato che questa storia delle navi affondate non interessasse in realtà più nessuno. E invece ora...
Ora il procuratore capo della Repubblica di Paola ha trovato il primo riscontro tangibile ai suoi racconti.
Sì e non sarà il solo.
Fatto sta che sulle navi affondate ciascuno spara la propria cifra. Da 3 a 30, tutti numeri buoni per il Lotto.
Io ho dato contezza dell'affondamento di tre navi di cui sono stato esecutore materiale per conto della cosca Romeo di San Luca. Di altre sette sono certo per averne parlato con i capi di altre cosche che in Calabria hanno trafficato in rifiuti tossici. Ma non sono solo queste, in Calabria e fuori regione.
Trenta in effetti è il numero indicato dalla Procura della Repubblica di Reggio nei primi anni 90 a seguito della consulenza di Mario Scaramella, travolto poi nell'affare Mitrokin.
Un nome che in qualche modo riporta ai servizi.
Con tutta la forza che si può riconoscere alle cosche è infatti difficile credere che voi foste la mente delle operazioni.
E infatti a noi interessava solo sapere quanto incassavamo per gli affondamenti. A me interessavano gli affari. Le decisioni ci venivano comunicate da altri.
Altri chi?
A contattare me erano direttamente i servizi segreti italiani che frequento da quando ero un giovane affiliato alla ‘ndrangheta, tra i pochi con studi alle spalle e una famiglia di origine non mafiosa. Avevo un filo diretto con persone dei servizi che venivano ribattezzate con un nome in codice. Loro telefonavano con linee dedicate, io pattuivo ed eseguivo dopo gli incontri, che spesso si svolgevano a Roma all'Hotel Palace. Persone come Guido Giannettini e Vito Miceli, inoltre, erano miei contatti fin dalla fine degli anni 70. I servizi spesso mi mettevano a disposizione anche le loro macchine. Ho perfino annotato i numeri delle targhe, che ho scritto nel dossier consegnato alla Dna. E sarei in grado di riconoscere ancora oggi le persone se qualcuno mi mostrasse le foto. L'ho anche scritto nel dossier: è tutto nero su bianco. È lì a disposizione.
Non lo dica due volte. La Procura di Paola potrebbe chiamarla presto a testimoniare.
Ci andrò e darò tutto il mio aiuto se lo Stato mi aiuterà a capire perché mi sono stati affibbiati 50 anni di carcere senza aver mai ucciso nessuno e prestando da anni la mia collaborazione.
Cosa dirà di nuovo ai magistrati?
Lei vuole sapere troppo.
Mi pagano per questo.
Affari suoi. Comunque farò nuovamente i nomi e cognomi dei politici che avevano contatti con gli uomini dei servizi segreti che poi si rivolgevano a me e alle altre cosche.
Perché crederle? Che interesse potevano avere i politici ad entrare direttamente o indirettamente in contatto con le cosche?
Noi garantivamo un servizio e loro ricevevano finanziamenti dai Paesi che intendevano trafficare in rifiuti. I servizi erano il mezzo che usavano per non apparire.
Questo lascia pensare che molte commesse provenissero dall'Est.
Non solo Russia e Germania. Anche Stati Uniti.
Ha mai avuto contatti diretti con politici?
Si, di molti partiti. Politici nazionali e locali. Con alcuni ero di casa. Loro sapevano chi ero e a me si rivolgevano perché il pacchetto di voti che potevamo garantire era sempre cospicuo. I nomi, sarò monotono, sono nel dossier. La maggior parte di loro fa ancora politica.
C'è nient'altro nel dossier che ha consegnato e che potrebbe essere oggetto di interesse della magistratura?
Grossi traffici di armi, carrarmati e perfino aerei. Il tramite erano sempre i servizi.
Ha paura?
A giorni sarò nuovamente in regime di protezione e cambierò nuovamente casa. In effetti ora non esco più.
Difficile dargli torto quando sì è il primo e unico pentito che ha parlato di cose inverosimili fino a che una Procura tignosa a Paola non ha deciso di andare dritta alla verifica di una parte del racconto.
fonte:ilsole24ore
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