Il nucleare trova un muro quando passa dai proclami al territorio. A seguito dell'appello rivolto l'11 settembre da Greenpeace, Legambiente e WWF, che invocava il ricorso alla Corte Costituzionale per fermare il provvedimento sul nucleare di sostanziale centralizzazione delle procedure e militarizzazione del territorio, si e' scatenato in questi giorni un vero e proprio ''effetto domino''. Dopo i primi no di alcune regioni - ricordano le associazioni - a oggi hanno impugnato la legge dimostrando la propria opposizione alla scelta nucleare ben 10 regioni, che rappresentano circa il 52% del territorio italiano, ovvero Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria.
Oltre a queste, Sardegna e Veneto hanno detto no al nucleare sul proprio territorio con ordini del giorno o dichiarazioni del presidente. Tra le regioni che non hanno aderito all'invito delle associazioni a impugnare la legge, la Sicilia aveva manifestato l'intenzione di impugnare comunque la legge, ma non si ha notizia di una delibera in tal senso.
Insomma, rilevano le associazioni ambientaliste, ''le Regioni difendono le proprie competenze e sanno bene che gli elettori non premieranno mai un governatore (o un candidato governatore) che accettasse una centrale nucleare sul proprio territorio. Per questo le associazioni chiederanno un esplicito pronunciamento a tutti i candidati prima delle prossime elezioni''.
''Il Governo deve tener conto di quanto sta succedendo nel Paese - hanno dichiarato le tre associazioni - e fare marcia indietro rispetto a una prospettiva, quella del nucleare, costosa e insicura, oltre che inutile rispetto ai problemi energetici italiani''.
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