La finanza verde è all'attacco, alla ricerca di un accordo sul cambiamento climatico, efficace e senza compromessi nei confronti del taglio delle emissioni, sia a Washington, che a Copenaghen. Azioni in compagnie produttrici di energia eolica, carbontrade, investimenti in imprese ad alta responsabilità sociale e ambientale, portafogli di capitali di sviluppo in tecnologie verdi, industrie a impatto zero per produrre veicoli elettrici o materiali per bioarchitettura: la green finance, la nuova finanza verde, è una rivoluzione che continua a guadagnare terreno nei mercati e nelle sfere politiche premendo per un quadro legislativo dove operare. Secondo un'analisi della Reuters, gli investimenti in green economy sono passati solo negli Usa da 836 milioni nel primo quadrimestre a 1,9 miliardi all'inizio del terzo.
Cifre destinate a aumentare in maniera sostanziosa se si includono le azioni connesse al carbon trading, gli investimenti in derivati dei capitali d'investimento verdi e il potenziale legato ai valori materiali e immateriali di proprietà delle compagnie - specie quelle assicurative - sempre più interessate a mitigare i rischi legati al riscaldamento globale, che alcuni stimano intorno ai 13mila miliardi di dollari. Investor network on climate risk, rete creata allo scopo di generare sempre più investimenti in green economy per mitigare gli effetti sul clima dell'economia del carbone, detiene da sola 7mila miliardi di dollari in assets globali.
Cifre da capogiro, quindi, che spiegano la discesa in campo di corporation e lobby industriali americane nel dibattito sull'ambiente, per ingaggiare una guerra senza quartiere contro i poteri forti, sostenitori degli idrocarburi. Resistono infatti a Washington gruppi proemissioni, come petrolio, agricoltura, carbone, ostili alla legge sul cambiamento climatico, American clean energy and security act (Acesa), e agli accordi sul clima post-Kyoto. «Senza politiche adeguate per incoraggiare l'uso di fonti di energia pulite gli investimenti verdi sono bloccati in partenza», ha dichiarato Mindy Lubber, presidente di Ceres, una coalizione di investitori e ambientalisti e direttrice di Investor network on climate risk.
Per uscire dall'empasse, top manager e amministratori delegati di oltre 140 compagnie e firme di venture capital - come Dow Chemical Co., Entergy Corp., Nike Inc - si sono incontrati a Washington per fare pressioni sul Senato, affinché voti il prima possibile una legge sul clima coraggiosa e onnicomprensiva. «Questo è un segnale forte che il mondo degli affari americano è unito nell'urgenza di mitigare i cambiamenti climatici», ha dichiarato il presidente della Timberland Co, Jeff Swartz, la cui compagnia ha contribuito al blitz per fare pressione sul Congresso.
Tra le richieste da incorporare nell'Acesa: tagli oltre l'85 per cento delle emissioni di Co2 entro il 2050, agevolazioni, tetti più bassi nel breve termine per i paesi industrializzati e piani per creare progetti di riduzione delle emissioni per i Paesi in via di sviluppo. Anche secondo Greenpeace Usa, promotrice di iniziative di green finance, questi nuovi strumenti finanziari potrebbero essere una delle soluzioni per limitare le parti per milione di carbonio sotto la soglia del 450, oltre la quale si scatenerebbero una serie di catastrofi ambientali, con dei costi economici e assicurativi illimitati (senza parlare di quelli umani, ovviamente).
Chi si trova in prima linea già da tempo nella finanza verde sono soprattutto le compagnie assicurative, specie quelle tedesche, svizzere e americane, che hanno calcolato che i cambiamenti climatici comporterebbero maggiori disastri, con un aumento del rischio esponenziale, pagamento dei danni superiori agli emolumenti delle polizze e un incremento dei rischi connessi ai propri assets. A promuovere il supporto alle assicurazioni Usa per diversificare gli investimenti in green economy al fine di mitigare l'effetto serra è l'Ernest Orlando Lawrence Berkeley National Laboratori (Lbnl), laboratorio di ricerca dell' U.S. Department of Energy. Il laboratorio svolge ricerche sui costi ingenti che potrebbero derivare dal continuare a fare business ignorando il pericolo del cambiamento climatico. «La maggioranze della compagnie Usa ha però iniziato ad investire in energia pulita » spiega a Terra Evan Mills, direttore del laboratorio «Lbnl ha tabulato oltre 11 miliardi di dollari in investimenti per progetti che hanno l'obiettivo di contenere il cambiamento climatico, anche se la cifra reale potrebbe essere ben superiore, ma non disponiamo di dati sui venture capital per sviluppare nuovi progetti», aggiunge.
Ad ostacolare questa nuova corrente di investitori verdi è la Chambe of commerce (COC), la Camera di commercio americana, da sempre a sostegno degli idrocarburi e all'agrobusiness, fortemente ostile nei confronti dell'Acesa. Gli investitori verdi però sembrano non apprezzare il comportamento dell'istituzione, visto che in California, North Carolina e altri stati sempre più imprese hanno stracciato la propria tessera associativa per contestare le politiche della Coc. Recentemente la Nike, ha rilasciato sul suo sito un comunicato in proposito: «Siamo in pieno disaccordo con la Camera del commercio Usa, e i recenti attacchi all'Epa, sono in forte controtendenza con la nostra visione, che vede il cambiamento climatico come un problema primario.
Noi crediamo che il mondo dell'impresa deve investire in pratiche sostenibili e in soluzioni innovative. E serve una Camera che rappresenti gli interessi di tutti i membri. Per questo abbiamo elettrico, come la Duke energy Corp, guidata da Jim Rogers, stanno prendendo posizione contro i delatori del Acesa. Jim Roger è considerato una figura prominente che potrebbe influenzare il voto al Senato convincendo i 15 senatori democratici incerti e qualche indipendente repubblicano come John McCain a far passare la legge sul clima prima di dicembre.
Insomma il "mondo capitalista" ha preso posizione a favore delle leggi per proteggere l'ambiente. Greed is Green, l'ingordigia è verde, si potrebbe dire parafrasando Gordon Gekko, il noto personaggio del film di Oliver Stone, Wall street. Eppure, monitorando con attenzione la nuova green finance delle corporation e concentrando i capitali verso progetti e operazioni di investimento realmente eco-sostenibili e di produzione di energia pulita, si potrebbe anche scoprire che condividere obbiettivi comuni con il mondo corporativo per proteggere l'ambiente potrebbe non essere considerato peccato. È certo che la sete di danaro non ha limiti e quindi l'ombra del greeenwshing, l'uso di politiche ambientali per nascondere affari meno puliti, è sempre dietro l'angolo.
Qualcuno già parla di bolla della green economy nel giro di 8-10 anni, prevedendo che le compagnie finanziarie si comporteranno come predatori speculando nel settore. Al momento tuttavia potrebbero essere la chiave per convincere il Congresso Usa a approvare l'Acesa, dare una scossa a governi ritrosi, attuare politiche ambientali come l'Italia e arrivare infine a Copenaghen raggiungendo un accordo solido e radicale. La lotta per la terra non teme il compromesso.
FONTE: verdi.it
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