Carnagione bianchissima, capelli rossi, fanatica dell’abbronzatura. «Da ragazza appena era possibile andavo in spiaggia con le amiche. Certe scottature. Quando ero giovane non c’era la cultura della protezione e dei rischi per la pelle», racconta Patrizia Cristaldi, 52 anni, una dei pazienti che stanno sperimentando su se stessi il vaccino terapeutico contro il melanoma studiato da Istituto Superiore di Sanità, Regina Elena e San Gallicano, i due centri che fanno capo all’Ifo (Istituti fisioterapici ospitalieri).
MIX DI FARMACI - E’ l’unico vaccino al mondo basato sulla strategia del doppio attacco. Per ricacciare indietro le recidive di un tumore che colpisce 13 persone ogni centomila abitanti, circa 7.500 nuovi casi l’anno in Italia, primi imputati i raggi ultravioletti, viene utilizzata una combinazione di farmaci. Chemioterapia a base di una molecola chiamata dacarbazina, interferone alfa e il vaccino vero e proprio, costituito da piccoli frammenti della proteina sviluppata dalla cellula cencerosa. Da una parte si contrasta lo sviluppo del tumore. Dall’altra si aiuta il sistema immunitario a rinforzarsi e difendersi. Per questo si parla di trattamento immunogenico. Le premesse sembrano incoraggianti. Questa formula ha funzionato ottimamente dei modelli animali, ha superato la prima fase di sperimentazione, finalizzata a dimostrare l’assenza di tossicità e la tollerabilità. Ora si passa alla seconda fase. Il vaccino dovrà confermare negli anni successive di prevenire le recidive in pazienti già operati di melanoma con metastasi. Quindi le forme più aggressive.
IL RACCONTO - I test partono su 50 pazienti, in gran parte già reclutati. Fra loro c’è Patrizia, medico anestesista del Regina Elena: «Mi sento rinascere – trasmette il suo stato d’animo – La vita si è di nuovo spalancata di fronte a me. Quando ho saputo quale fosse la diagnosi sono caduta nella disperazione più profonda. Ho grande fiducia, voglio guarire. Guarirò. A distanza di quasi 6 anni dall’intervento, il tumore non è ricomparso. Per me il rischio era altissimo». L’incubo per Patrizia è cominciato nel 2004. Un neo sulla spalla diventato più grande e sanguinante, da semplice e apparentemente innocuo puntino che aveva fin da giovanissima. Lo aveva mostrato a un suo collega chirurgo e lui l’aveva operata: «Una stupidaggine, vedrai», l’aveva tranquillizzata. Non aveva effettuato neppure l’esame istologico, tanto era sicuro che non ci fosse pericolo di neoplasia. Dopo cinque mesi Patrizia avverte sotto l’ascella la presenza di palline indurite. Linfonodi. Si fa controllare, temendo un tumore al seno. Invece è melanoma. E il pensiero torna a quel piccolo neo. Era il 2004. L’intervento nell’ottobre dello stesso anno: «Mi vedevo perduta. Ho potuto partecipare alla sperimentazione perché possedevo le caratteristiche indicate nel protocollo. Alto livello di malignità, altissimo rischio di recidive. Pensavo che la cura mi avrebbe distrutta. Invece ho continuato a condurre una vita normale. Senza stanchezza, nausea, malessere. Ora mi sottopongo a un controllo annuale. Il male potrebbe ricomparire. Ma sono serena e fiduciosa che non avvenga».
IL TEAM - Il vaccino italiano è un’applicazione della cosiddetta ricerca traslazionale. La terapia in studio viene provata sui malati e messa a punto attraverso uno scambio diretto di informazioni tra medici e laboratorio. Costo della sperimentazione 1 milione di euro. Per avere conferma che sia davvero una strategia giusta bisognerà aspettare almeno 4 anni. La squadra di Ifo e Iss impegnata in questa sfida è formata da Francesco Cognetti, Filippo Belardelli, Paola Nisticò, Virginia Ferraresi, Caterina Catricalà, Enrico Proietti, I primi risultati e l’avvio della fase 2 sono stati presentati da Enrico Garaci, presidente dell’Iss, e Francesco Bevere, direttore generale Ifo. Patrizia non prende più il sole. Anche quando passeggia si spalma creme altamente protettive. Spiaggia? Neanche a parlarne. Ma la rinuncia non le pesa. In gioco c’è la sua vita.
FONTE: corriere.it
Nessun commento:
Posta un commento