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martedì 22 giugno 2010

centrali nucleari in Italia : Il ritorno al nucleare è anticostituzionale ma anche il resto dell’energia…


Correva l’anno 1987, il giorno 8 del mese di novembre, quando gli italiani furono chiamati alle urne per decidere sulla questione dell’energia nucleare nel nostro Paese; con una schiacciante maggioranza (80%) vinsero i Sì e di centrali, siti di stoccaggio e scorie radioattive non si parlò più.

Dopo ventitre anni, la questione energetica è tornata ad essere uno dei cardini della politica energetica in tutta Europa e il governo Berlusconi ha prontamente annunciato e strombazzato il ritorno dell’Italia al nucleare.

Peccato, per Berlusconi e i suoi ministri, che ieri la Corte Costituzionale abbia bocciato una parte molto importante del decreto legge del 3 agosto 2009, che sanciva la riapertura delle centrali. È stato di fatto cancellato l’articolo 4, il cui testo enunciava l’importanza del ritorno al nucleare, spiegava che questo sarebbe stato realizzato facendo massiccio ricorso a capitali privati e che il governo avrebbe potuto nominare dei commissari straordinari – con poteri straordinari – per determinare l’ubicazione e la costruzione delle centrali e dei siti dove stoccare le scorie.

Proprio sul punto dei capitali privati si è pronunciata la Corte, considerando incostituzionale la legge perché reputa incompatibile l’urgenza della costruzione delle centrali nucleari con il ricorso ai capitali privati: “Trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime”.

La questione era stata sollevata dalla Toscana, dall’Umbria, dall’Emilia Romagna e dalla provincia autonoma di Trento, secondo cui con questo decreto legge il governo scavalcava in modo illegittimo le loro competenze e, ieri, la Corte ha dato loro ragione: “Se le presunte ragioni dell’urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare dell’esecuzione immediata delle opere, non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi. [...] I canoni di pertinenza e proporzionalità richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimità di previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni non sono stati, quindi, rispettati”

Oggi potrebbe arrivare un ulteriore colpo ai progetti di Berlusconi e dei suoi amici imprenditori, e potrebbe arrivare sempre dai giudici della Corte Costituzionale.

Verrà infatti reso noto e pubblicato il pronunciamento sul ricorso promosso da undici regioni, riguardante la mancata previsione della necessità di un’intesa con regioni ed enti locali sull’ubicazione delle centrali.

Che la questione energetica sia argomento drammaticamente serio è fuori discussione ma, nel caso specifico, è estremamente significativo il principio al quale si sono rifatti i magistrati della Corte Costituzionale; in caso di iniziative di rilievo strategico, il motivo di urgenza deve comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime.

Fuori dai giochi i privati, dunque, fuori dai giochi gli speculatori e diretta e chiara rivendicazione dei poteri allo Stato in una materia così delicata.

Nella giornata di ieri, è arrivata anche la notizia che la Regione Puglia impugnerà dinanzi al Tar del Lazio il decreto 209 del 2010 con il quale i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali hanno espresso giudizio favorevole sulla compatibilità ambientale della proposta della Eni Power Spa, per la realizzazione di una centrale a ciclo combinato da 240 MWe nella raffineria Eni di Taranto.

L’assessore pugliese all’ambiente, Lorenzo Nicastro, spiega: “A nostro avviso, il decreto è stato emanato senza tenere in debita considerazione il parere negativo espresso dalla Regione Puglia sulla realizzazione di tale impianto in un’area, fortemente antropizzata, già compromessa da elevati livelli di inquinamento e per questo dichiarata, per legge, a grave rischio di crisi ambientale”.

“Tra l’altro – continua l’assessore – la proposta di Eni, pur contemplando alcuni interventi di miglioramento ambientale, quale ad esempio la conversione dell’attuale centrale ad olio con altra alimentata a gas naturale, prevede un aumento di produzione di energia elettrica superiore, di ben cinque volte, a quello attuale, il che, come è facilmente comprensibile, comporterebbe un sensibile aumento di emissioni di gas clima alteranti, in aperto contrasto con le previsioni del Piano energetico ambientale regionale, aspetto quest’ultimo non adeguatamente valutato nell’ambito dello studio di impatto ambientale”.

“Infine – conclude Nicastro – duole, ancora una volta, dover rilevare il mancato coinvolgimento partecipativo del nostro rappresentante regionale in seno alla commissione nazionale Via-Vas, benchè, allo stato, designato ed integrato dallo stesso ministero”.

Insomma, le regioni si sono mosse contro il governo e, finora, hanno avuto ragione anche se le notizie che giungono dal Ministero dello Sviluppo Economico sono tutt’altro che rassicuranti, e meno che mai nel momento in cui, nel Golfo del Messico, le dimensioni del disastroso incidente alla piattaforma Deepwater Horizon crescono inesorabilmente di giorno in giorno.

A Taranto, infatti, sono state autorizzate delle trivellazioni “esplorative” in Mar Grande da parte della Shell; l’Ufficio minerario idrocarburi geotermia del Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso alla Shell Italia la ricerca petrolifera offshore nel Golfo di Taranto. Le zone interessate coprono un’area di 1.356 chilometri quadrati tra le coste pugliesi e quelle calabre.

Ad annunciarlo è stata la stessa compagnia petrolifera che attendeva una risposta dal novembre del 2009. “Con questa nuova opportunità – ha commentato Marco Brun, Country manager Shell in Italia – potremo ulteriormente espandere i nostri interessi esplorativi offshore nel Golfo di Taranto.”

Su questo specifico fronte la battaglia sarà durissima, considerato il fatto che la Royal Dutch Shell è una multinazionale operante nei settori petrolifero, dell’energia e della petrolchimica e insieme a BP, ExxonMobil e Total è uno dei quattro principali attori privati mondiali nel comparto del petrolio e del gas naturale.

Per comprendere di che azienda si tratta, basti pensare che, già nel 2004, i ricavi della Shell erano 268 miliardi di dollari e la rendevano la quarta più grande azienda del mondo per fatturato, mentre i profitti, pari a 18,18 miliardi di dollari, ne facevano la seconda impresa più redditizia del mondo in termini di profitto lordo.

Dalla provincia di Trento, dalla Toscana, dall’Umbria, dall’Emilia Romagna e poi giù fino alla Puglia, è appena cominciata una nuova sfida per dare al Paese un progetto di energia pulita e rinnovabile, ma è bene essere coscienti che gli speculatori, sostenuti dalle lobbies più potenti che si possano immaginare, sono già all’opera.
FONTE: gliitaliani.it AUTORE Marco Stefano Vitiello

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