I diabetici sanno bene che i reni possono essere il loro tallone d'Achille: se smettono di funzionare e tocca ricorrere alla dialisi son dolori. Ma una ricerca tutta italiana dimostra ora che anche piccoli segni premonitori di danni ai reni comportano un aumento della mortalità, indipendentemente da qualsiasi altro fattore di rischio.
STUDIO – Lo studio, pubblicato su Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Disease, è stato condotto dai medici della Sezione di Endocrinologia dell'Ospedale Civile Maggiore di Verona, che hanno seguito per 6 anni più di 2800 pazienti con diabete di tipo due. All'inizio il tasso di filtrazione glomerulare (indice della funzionalità dei reni) era basso nel 22 per cento dei partecipanti, mentre il 26 per cento dei pazienti aveva albumina nelle urine (anche questa indicativa del fatto che i reni hanno un po' perso la loro funzione di filtro). Negli anni 306 partecipanti sono morti, in più di un caso su due per motivi cardiovascolari; andando ad analizzare l'eventuale correlazione fra la mortalità e diversi fattori di rischio, gli autori si sono accorti che la probabilità di morire (per cause cardiovascolari e non) cresceva all'aumentare dell'albuminuria e al diminuire del tasso di filtrazione glomerulare. E l'effetto negativo rimaneva anche considerando altri elementi “pesanti” di rischio come il fumo, l'ipertensione e così via, a indicare che già piccole alterazioni della funzione dei reni sono indicative di maggiori rischi per la salute.
CONTROLLI AI RENI – «Una riduzione della funzionalità renale si associa a una maggior mortalità anche in chi non è diabetico – specifica Enzo Bonora, l'endocrinologo dell'Università di Verona che ha coordinato la ricerca –. Non sappiamo perché sia così: l'alterazione renale non è essa stessa una causa diretta degli eventi cardiovascolari, ma evidentemente si associa ad altri fattori di rischio causali che poi portano a tali eventi. Detto ciò, il messaggio che emerge dal nostro studio è chiaro: occorre valutare spesso la funzionalità dei reni, nei diabetici e pure, appunto, in chi non lo è. Riduzioni della capacità renale anche lievi indicano soggetti con un rischio cardiovascolare e generale assai più elevato di altri, in cui è necessario intervenire con un approccio più incisivo per evitare guai». Il test migliore però non è quello che va per la maggiore, ovvero il dosaggio della creatinina (una sostanza che è un prodotto di scarto del metabolismo delle proteine; se sale oltre una certa soglia, significa che l’attività di filtro dei reni è compromessa): «La creatininemia può ingannare, l'età e il peso corporeo la influenzano e si possono avere valori apparentemente normali anche se i reni non sono in perfetto stato – dice Bonora –. Perciò oggi le linee guida raccomandano la stima, attraverso semplici formule matematiche, del tasso di filtrazione glomerulare: pur non essendo una misura diretta ma un parametro “sporco”, soltanto stimato, è un indice molto accurato del grado di funzionalità renale», conclude l'esperto.
Fonte:corriere.it
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