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mercoledì 21 luglio 2010
Mucca pazza: livornese in fin di vita
Una livornese di 42 anni e' ricoverata nell'ospedale di Livorno in coma, dopo avere contratto il morbo della 'mucca pazza'. La donna e' in condizioni disperate ed e' ricoverata nell'hospice di cure palliative dell'ospedale livornese, proprio per effettuare cure che l'aiutino ad affrontare con dignita' la fase terminale della malattia. E' il secondo caso in Italia. Il primo colpi' una donna siciliana nel 2002.
Un incubo che sembrava scongiurato e che invece torna a rimbalzare sulla cronaca. E' arrivata nell'ospedale livornese venerdì scorso con una diagnosi che non lascia speranze, un caso raro, anzi rarissimo per il nostro Paese: encefalite spongiforme, meglio conosciuta come virus della «mucca pazza». Ora, la donna, una livornese di 42 anni, si trova nel reparto di cure palliative in condizioni disperate. Il morbo le era già stato diagnosticato nel 2009: l'Istituto Superiore di Sanità aveva già confermato la positività della donna al morbo di Creutzfeldt-Jackob, segnalando il caso al Ministero della Salute. È il secondo caso della malattia registrato in Italia; il primo colpì una donna siciliana nel 2002.
IL PRIMARIO - «Non sappiamo dove abbia contratto il virus perché è difficile stabilire i tempi di incubazione della malattia che possono essere molto lunghi», ha spiegato Spartaco Sani, primario del reparto di Malattie infettive di Livorno. Dal 2003, secondo il registro dell'Istituto superiore di Sanità, si tratta del secondo malato affetto dalla variante della sindrome di Creutzfeldt- Jakob, quella che si contrae mangiando carne bovina. «Comunque, non c'è nessun allarme e la malattia non viene trasmessa da umano a umano e non è quindi contagiosa» ha tenuto a precisare Sani.
LA MALATTIA - I primi malesseri si erano manifestati qualche anno fa, con alcuni disturbi che al tempo sembravano da ricondurre a problemi del sistema neurologico. All'inizio del 2009, è arrivata la drammatica diagnosi: mucca pazza. Nei mesi scorsi, la donna, ha effettuato delle visite in centri specializzati a Milano. Un viaggio della speranza, che si è concluso drammaticamente con l'esito degli esami eseguiti all'istituto “Besta”, qui è stata sottoposta alle terapie, ma non si è riusciti ad arrestare l’avanzata del male. Nel centro di eccellenza, i medici hanno confermato che la cosiddetta encefalite da prione ha aggredito il sistema nervoso della donna. Venerdì scorso c'è stato il ritorno dalla famiglia nella città labronica e il ricovero nel reparto di cure palliative dove ora si trova.
COLDIRETTI: «NESSUN ALLARME» - «Se confermato, è una eredità del lontano passato facilmente prevedibile, per i lunghi tempi di incubazione della malattia, che non ha nulla a che fare con il consumo della carne italiana, che è del tutto sicuro grazie ad un rigido sistema di controlli introdotto con successo nel 2001 per far fronte all’emergenza Bse». È il commento della Coldiretti in riferimento al caso probabile di morbo della mucca pazza contratto dalla donna di Livorno. «La Bse è praticamente scomparsa da anni dagli allevamenti italiani per l’efficacia delle misure adottate per far fronte all’emergenza come - sottolinea la Coldiretti - il monitoraggio di tutti gli animali macellati sopra i 30 mesi, il divieto dell’uso delle farine animali nell’alimentazione del bestiame e l’eliminazione degli organi a rischio Bse dalla catena alimentare. Ma anche e soprattutto - prosegue la nota - l’introduzione, a partire dal primo gennaio 2002, di un sistema obbligatorio di etichettatura che consente di conoscere l’origine della carne acquistata»
LA LOTTA CONTRO LA MALATTIA - La variante umana della malattia della mucca pazza è comparsa 14 anni fa in Gran Bretagna, dove è stata subito associata al consumo di carne di animali colpiti dall’Encefalopatia Spongiforme Bovina (Bse). La forma umana è considerata una variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (Cjd) ed il suo nome è stato ufficializzato come «nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob» (vCjd) nel 1997, da un articolo pubblicato sulla rivista The Lancet. A scatenare la malattia nell’uomo è l’alterazione di una proteina naturalmente presente nell’organismo, chiamata prione. Dopo il notevole aumento dei casi della malattia sia nei bovini che nell’uomo, concentrato soprattutto fra il 1996 e i primi anni 2000, da qualche anno si registra un notevole rallentamento nella diffusione della malattia sia negli allevamenti e altrettanto rari sono i casi della forma umana. Proprio nei giorni scorsi il commissario europeo alla Salute, John Dalli, ha dichiarato che l’Europa è uscita vincente dalla lotta contro la malattia, che nel 2009 ha fatto registrare 59 negli allevamenti degli Stati membri. L’ultimo caso di Bse in Italia risale al 2008, in Piemonte e l’unico decesso nell’uomo risale al 2002.
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