INQUINAMENTO. Dopo i traffici illegali di rifiuti, i carabinieri del Noe accertano anche la contaminazione delle falde. E nessuno indaga sulle conseguenze per la salute dei cittadini a Portovesme e nell’area del Sulcis.
Fanghi industriali, polveri rosse, fumi d’acciaieria. Sono solo alcuni dei veleni con cui i cittadini del Sulcis Iglesiente, Sardegna sud-occidentale, sono da decenni costretti a convivere. L’area di Portovesme ospita uno dei poli industriali più inquinanti di tutta l’isola, tristemente al centro della cronaca di questi ultimi due anni per la crisi che ha colpito l’Alcoa e l’Eurallumina. Ora torna sotto i riflettori per le conclusioni di un’indagine relativa alla Portovesme Srl, un’impresa di metallurgia di prodotti non ferrosi (specie piombo e zinco) Il prossimo 10 dicembre, infatti, presso il Tribunale penale di Cagliari inizierà il processo per un traffico di rifiuti altamente pericolosi smaltiti illecitamente, secondo gli inquirenti, in cave del cagliaritano e, addirittura, nella realizzazione di riempimenti stradali e piazzali degli ospedali.
Tra gli imputati figurano il responsabile del sistema Gestione ambientale della Portovesme, Aldo Zucca, la responsabile della gestione rifiuti Maria Vittoria Asara, l’amministratore unico della società di interramenti Tecnoscavi Massimo Pistoia e altre sei persone. Le associazioni ecologiste Gruppo d’intervento giuridico e Amici della Terra chiederanno di essere potersi costituire come parte civile. Non si tratta, purtroppo, dell’unico caso registrato nella provincia di Carbonia-Iglesias, dove le questioni sociali e politiche legate alla perdita di posti di lavoro per la crisi dell’industria pesante si intrecciano drammaticamente con una pressione ambientale sempre più insostenibile. Il risultato è una sorta di “colonialismo industriale”, che in cambio di qualche centinaio di posti di lavoro chiede carta bianca riguardo allo sfruttamento del territorio.
Esattamente quello che sta succedendo a Portovesme, dove i russi della Rusal, che hanno acquisito Eurallumina dopo il suo fallimento, chiedono in cambio della riapertura dei battenti dell’industria il permesso di aprire un nuovo bacino per il contenimento dei fanghi rossi che derivano dalla produzione di ossido di alluminio a partire dalla bauxite. Per l’area di Portovesme si tratterebbe della terza vasca a cielo aperto ricolma di fanghi rossi, gli stessi che pochi mesi fa hanno messo in ginocchio l’Ungheria. Con una differenza: i rifiuti industriali accumulati dal 1975 ad oggi nel territorio del piccolo paese sardo sono pari a circa 20 milioni di metri cubi, un volume 25 volte superiore a quello che ha devastato le campagne ungheresi.
Il primo allarme fanghi rossi in Sardegna risale al 29 marzo 2009, quando, in seguito alla rottura di una tubatura che trasportava acqua di falda superficiale, sulla strada che attraversa il polo di Portovesme si è riversato un fiume rossastro. Un colore che ha indotto la magistratura a porre immediatamente sotto sequestro preventivo i due bacini esistenti e ad avviare le indagini del caso. Dal lavoro dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico è emersa una situazione davvero preoccupante: nelle falde sotterranee sono stati rilevati fluoruri, boro, manganese e arsenico in quantità oltre i limiti consentiti dalla legge. Ma quanto fanno male i rifiuti industriali di Portovesme?
Le sostanze chimiche a cui sono esposti i cittadini del Sulcis sono così tante che è difficile stabilire quale veleno sia responsabile di quale patologia e solo una puntigliosa indagine potrebbe arrivare a stabilirlo. Ma questa indagine, ad oggi, non è stata portata avanti. Eppure i rischi ci sono, perché «le esposizioni croniche ai fluoruri – afferma il radiologo Vincenzo Migaleddu - sono associate ad insufficienze renali, patologie polmonari, neurotossicità, problemi per il feto durante la gravidanza e accumulo di fluoro in denti ed ossa». La minaccia più incombente, affermano i “Carlofortini preoccupati” è proprio questa: «L’indifferenza degli amministratori e degli enti preposti al controllo».
FONTE: http://www.terranews.it/news/2010/11/fanghi-rossi-da-incubo
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