Uno studio conferma: piccole dosi regolari di aspirinetta riducono il rischio di ammalarsi. Ma non è una soluzione valida per tutti, come lo screening per diagnosi precoce.
Un aumento valutato del 10 per cento e 270mila nuovi casi. Sono le stime per il 2010 presentate a Roma nei giorni scorsi dalla Lega italiana tumori. Fra i tipi di cancro sempre più diffusi c’è quello del colon retto, in crescita fra uomini e donne a causa soprattutto di alimentazione scorretta, sedentarietà, sovrappeso. Ma dai laboratori di ricerca arrivano due buone notizie. Primo, piccole dosi di aspirina (quelle usate comunemente per la prevenzione cardiovascolare) riducono il rischio di ammalarsi di carcinoma colonrettale. Secondo, i medici potrebbero avere presto a disposizione un nuovo test efficace per la diagnosi precoce della malattia.
PROTEZIONE DALL’ASPIRINA - Secondo uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Lancet da Peter Rothwell del John Radcliffe Hospital di Oxford, l’acido acetilsalicilico (più noto come aspirina) può ridurre di un quarto le probabilità di sviluppare un tumore al colon e di oltre un terzo la sua gravità, quindi il pericolo di morte per questa neoplasia. La ricerca ha coinvolto più di 14mila persone, tenute sotto osservazione per quasi 20 anni. I volontari sono stati suddivisi in gruppi, a seconda che prendessero o meno l’aspirinetta quotidiana per la prevenzione cardiovascolare (in particolare per evitare ictus e infarti). Nel corso dello studio a 391 partecipanti è stato diagnosticato un carcinoma colonrettale ed è emerso che chi assume l’aspirinetta regolarmente (in dosi da circa 75 milligrammi al giorno) per almeno sei anni ha un rischio ridotto del 24 per cento di ammalarsi e del 35 per cento di morire a causa del tumore. «Il farmaco però va assunto con cautela e solo dopo un’attenta valutazione del bilancio tra rischi e vantaggi - precisano i ricercatori britannici - perché, com’è noto, può provocare sanguinamenti gastrointestinali e ulcere». Insomma, non ci sarà una prescrizione di massa dell’acido acetilsalicilico, ma potrebbe venire consigliato a chi è considerato a elevato rischio di sviluppare la neoplasia.
NUOVO TEST IN ARRIVO - In Italia i tumori del colon rappresentano la seconda causa di morte per cancro. La sopravvivenza a cinque anni per questa patologia si aggira attorno al 65 per cento e sale fino al 90 per cento se la malattia viene rilevata a uno stadio iniziale. «Scoprire la neoplasia il più presto possibile è fondamentale per ridurre la mortalità, ma l’adesione agli screening disponibili per il carcinoma colonrettale è ancora troppo bassa» dicono dall’Istituto scientifico romagnolo Irst di Meldola (Forlì-Cesena), dove si sta studiando un innovativo test per la diagnosi precoce e non invasiva del tumore del colon-retto, il Fluorescente Long Dna (Fl-Dna). Uno strumento che analizza il Dna delle cellule di esfoliazione della mucosa del colon presenti nelle feci, che avviene in modo continuo, non è soggetto alle variazioni di risultato dipendenti dalla intermittenza del sanguinamento delle lesioni tumorali. E che quindi potrebbe scovare i segnali più precoci della malattia, riducendo inoltre i casi falsamente negativi. Il nuovo test molecolare che valuta la quantità e l’integrità del Dna fecale sarebbe più accurato del test del sangue occulto nelle feci - dicono dall’Irst - e avrebbe un valore predittivo particolarmente elevato.
«SCREENING FONDAMENTALI» - Ad oggi il test Sof, in grado di ridurre la mortalità del 13–33 per cento, rappresenta ancora la procedura non invasiva più comunemente utilizzata per scovare in anticipo un carcinoma del colon. Ma secondo i dati più aggiornati dell’Osservatorio nazionale screening nel 2008 risulta coperto dallo screening (tramite Sof, nella grande maggioranza di casi, o mediante rettosigmoidoscopia) solo circa il 51 per cento del territorio nazionale. «È importante che la partecipazione allo screening cresca - spiega Paolo Bianchi, direttore dell’Unità di chirurgia mini-invasiva all’Istituto europeo di oncologia di Milano - perché scoprire un carcinoma colonrettale agli inizi vuol dire avere maggiori probabilità di sopravvivere. E con una qualità di vita migliore, perché l’intervento d’asportazione può essere conservativo». La sensibilità del test del sangue occulto però lascia troppi spazi di indeterminatezza nell’individuazione di un carcinoma, soprattutto delle forme più precoci, per le quali si ricorre quindi di frequente a indagini diagnostiche invasive come la colonscopia. «Gli attuali programmi di screening hanno certamente alcune criticità - conclude Bianchi -: bisognerebbe aumentare l’adesione della popolazione e migliorare la sensibilità del test, cioè ridurre i cosiddetti falsi negativi (persona malata giudicata sana, ndr). I test che valutano il Dna delle cellule tumorali esfoliate e presenti nelle feci sono promettenti, in quanto hanno un’alta sensibilità nel riconoscimento dei soggetti malati e potrebbero superare il problema dei falsi negativi presenti nel Sof. Bisognerà valutare attentamente i costi del test prima di poterlo introdurre come screening sulla popolazione».
fonte:http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro10_ottobre_26/tumore-colon-aspirina-screening-martinella_8b838108-e0fa-11df-b5a9-00144f02aabc.shtml
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