A un anno dal disastro, un'inchiesta indipendente svela inquietanti retroscena sulla gestione della crisi e sulle gravi falle nella catena di comando. Secondo gli esperti, si è rischiata una “reazione a catena demoniaca”
Far sfollare l’intera città di Tokyo. Il governo giapponese non escluse neanche questa ipotesi nei concitati giorni dopo il triplice disastro che colpì la centrale nucleare di Fukushima-Daichi. È quanto emerge da un’inchiesta condotta dalla Rebuild Japan Initiative Foundation che ha cercato di ricostruire la gestione della crisi provocata dal terremoto e dell’onda anomala che investirono l’impianto l’11 marzo scorso. Il rapporto di 400 pagine sarà presentato per interno in settimana, ma anticipazioni pubblicate dal New York Times mettono a nudo la condotta dei vertici nipponici e puntano il dito contro il governo le cui iniziative rischiarono di aggravare la situazione, con il premier e i suoi ministri all’oscuro delle linee guida contenute nel protocollo di emergenza e consigliati male dagli esperti.
Per sei mesi trenta tra professori universitari, avvocati e giornalisti hanno indagato sull’accaduto, intervistando oltre 300 addetti ai lavori, funzionari governativi ed esperti dell’agenzia per il nucleare. Un lavoro in cui hanno avuto garanzia di massima collaborazione, considerato anche il desiderio di trasparenza dei cittadini, ha spiegato il giornalista Yoichi Funabashi, direttore del quotidiano Asahi e tra i fondatori dell’associazione.
Gli attori in campo furono tre: il governo; la dirigenza centrale del gestore dell’impianto ossia la Tokyo Electric Power, più conosciuta con l’acronimo Tepco, e i funzionari della società all’interno della centrale. Così ecco comparire le telefonate con cui Masao Yoshida, uomo della Tepco a Fukushima, avvertiva lo staff del governo di poter mantenere la centrale sotto controllo se soltanto avesse potuto trattenere degli addetti all’interno, praticamente contraddicendo le telefonate del presidente Masataka Shimizu all’allora primo ministro Naoto Kan con cui esortava l’evacuazione dell’impianto. O ancora la decisione di Yoshida di ignorare l’ordine arrivato sia dal governo sia dal quartier generale Tepco della Capitale di non iniettare l’acqua salata, ma soltanto dolce, per raffreddare i reattori. “Se avesse obbedito i rischi sarebbero stati addirittura maggiori e le operazioni sarebbero partite troppo tardi”, si legge nel rapporto che tuttavia sottolinea come la decisione del manager di agire contro quanto stabilito a Tokyo abbia compromesso la gestione della crisi.
Il rapporto non imputa tutte le colpe al sessantacinquenne Kan, costretto alle dimissioni a settembre. Il suo atteggiamento fu positivo nel giudicare la gravità della situazione e mettere in atto contromisure, ma mise in discussione la piramide di controllo confondendo i ruoli e assegnando al governo un potere che i protocolli non gli accordavano. All’inizio del mese, con una intervista alla Reuters, l’ex premier ammise di essere perseguitato dallo spettro di un aggravarsi della situazione che avrebbe potuto portare all’evacuazione della Capitale e delle aree circostanti, costringendo oltre 35 milioni di persone ad abbandonare le proprie case.
Secondo Koichi Kitazawa, a capo della commissione che ha stilato il rapporto, “ora è possibile capire alcune delle scelte del premier che all’epoca furono giudicate inspiegabili”. Certo restano punti oscuri. Per giorni i media riferirono dell’insistenza di Kan nel voler mantenere personale nella centrale per gestire la situazione, contro il parere della Tepco che oggi invece smentisce la richiesta di un completo ritiro dei suoi uomini. “La verità non si saprà mai”, ha spiegato Kitazawa, “di certo rimasero 50 tecnici, segno che qualcuno temeva lo scenario peggiore”.
Si sarebbe rischiata una “reazione a catena demoniaca” ha spiegato l’allora portavoce del governo Yukio Edano, secondo il quale perdere Fukushima avrebbe significato perdere anche la centrale di Tokai, vicino alla Capitale. Abbandonare l’impianto infatti avrebbe probabilmente provocato l’esplosione dei reattori, con una scarica di radiazioni tale da raggiungere le altre centrali nucleari della zona e provocare altre esplosioni.
Intanto quando si avvicina il primo anniversario della catastrofe, per la terza volta la centrale è stata aperta alla stampa. “Rispetto a un anno fa la situazione è piuttosto stabile”, ha spiegato Takeshi Takahashi, manager della Tepco a capo della centrale, incontrando nel bunker antisismico dell’impianto i media stranieri. Nonostante i progressi descritti dall’Agenzia atomica internazionale non tutto è però risolto. Secondo quanto riferisce l’Ansa, i reattori n.1 e 3 hanno subito la fusione parziale del nocciolo e il n.4 è stato seriamente danneggiato dalla forza dell’onda anomala di almeno 15 metri. L’Agenzia per la sicurezza nucleare nipponica (Nisa) ha riscontrato una decina di errori fatti dall’operatore Tepco: dalle modalità per le attività da svolgere in sicurezza fino alla sorveglianza delle condizioni di esercizio nello stabilimento. Senza contare il sovraccarico di lavoro per gli oltre 3.000 tra tecnici e operai impegnati a garantire la sicurezza di Fukushima.
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